Abstract:
L’autolesionismo è la vita che si rivolta contro sé stessa. Esso tocca e ferisce una delle possibilità dell’essere umano: la corporeità. Tenteremo, nei limiti del carattere impensabile della questione, di comprender il senso del rapporto al mondo, a sé e agli altri che è contenuto in queste forme paricolari di violenza, che sono gli agiti autolesionistici e le situazioni limite che possono esere loro associate. Vogliamo anche distinguerle chiaramente dall’intenzione e dall’atto suicidario. La questione è delicata poiché il senso esistenziale dell’autolesionismo può avvicinarsi a quello del suicidio, ma rivelarsi anche molto diverso; è questo che fa l’originalità di questo fenomeno. Nell’autolesionismo, lo scopo non è quello di morire, ma quello di vivere. Attraverso questa distinzione si tratterà di esaminare la molteplicità di intenzioni di senso che queste condotte portano con sé. Gli agiti autolesivi, guardati nell’ottica dell’azione immediata, sono lontani dall’avere un senso pieno e univoco.
Facendo un passo indietro e assumendo un punto di vista antropologico, vedremo che il fenomeno dell’autolesionismo è presente anche nella normalità, in forme codificate; esso è allora culturalmente preparato e integrato e ha un insieme di funzioni precise.
La violenza autolesiva contiene un richiamo intersoggettivo nascosto. È un atto complesso accompagnato da intenzioni plurivoche, mal elaborate, abortite o precipitate e, per questo, difficili da interpretare. Ciononostante l’esplorazione dei fenomeni dei tatuaggi, dei piercing estremi o di altre manifestazioni estetiche che implichino un atto di violenza alla pelle o alle mucose, aiuta a comprenderne la dinamica. Ricomporre il cammino di senso che permette a questi agiti di restare al di qua di un atto autolesionista è di grande importanza, sia per la ricerca clinica, che per quella psicopatologica che per l’etica.