Abstract:
L'improvvisazione musicale è un concetto pratico, cioè è definibile solo entro ai confini della pratica entro cui si esercita. Sostengo due tesi negative e una tesi positiva.
La prima tesi negativa riguarda l'ontologia. Ontologicamente, l'improvvisazione è sempre stata mancanza: di pianificazione, di scrittura. Da questo si ricava che l'improvvisazione è una composizione nello stesso momento della performance. Ma credo che è molto pericoloso parlare "dello stesso momento", e che l'improvvisazione NON sia un'opposizione al concetto di composizione.
L'altra tesi negativa riguarda tutti gli attributi psicologici con cui è descritta l'improvvisazione: creatività, spontaneità, originalità. Questi attributi sono un retaggio dell'estetica romantica, e NON hanno un potere esplicativo, oltre al fatto che l'autocoscienza dei musicisti e il parere della critica è spesso in contrasto con essi.
La tesi positiva invece riguarda l'estetica: perché piace l'improvvisazione, anche se dà luogo a “prodotti imperfetti”? Perché l'improvvisazione è valutata esteticamente come processo. In quanto tale l'attività pratica è considerata non tanto per i risultati cui addiviene, ma in quanto il processo costituisce 1. un esercizio spirituale di miglioramento delle proprie capacità percettive e dei propri giudizi estetici, e 2. un “rito” sociale in cui la produzione musicale collaborativa fonda una comunità “estetica” con il pubblico; un microcosmo estetico che resiste al dominio economico dell'industria musicale e riscatta la passività degli ascoltatori.