Abstract:
L’elaborato intende approfondire un tema considerato decisamente non importante nella storia della filosofia: il cibo. La sua necessaria quotidianità lo ha reso banale, il gusto e la sua rivalutazione lo hanno reso piacevolmente innocuo. Ma cosa c’è dietro? L’imponente e provocatorio sguardo di Simone Weil, che ha fatto della privazione una scelta esistenziale, si è rivolto, da attivista politica, all’ingiustizia sociale; da filosofa, alla dis-attenzione del pensiero determinata dalle richieste dell’”animale affamato”; da mistica, infine, al tema della decreazione.
Un altro invitato: il vegetariano, vede nel cibo la possibilità tanto di realizzare quanto di eludere il principio di violenza insito nell’alimentazione carnea: ciò diventerà l’occasione per approfondire una riflessione sulla natura dell’essere umano grazie al rapporto con la (anche propria) natura animale.
Nel terzo capitolo, poi, l’analisi psicologica e sociale del problema post-moderno dei disturbi alimentari ci conduce a vedere con gli occhi bramosi dell’anoressica-bulimica, a veder cioè dietro il cibo la figura del desiderio come ben distinta dal bisogno e caratterizzante l’umana, sofferta posizione mediana.
A questa fantomatica cena coi filosofi (coi loro pensieri quantomeno!), tutte le argomentazioni da me toccate, unite dal filo rosso del rifiuto e della rinuncia, sono state mosse dalla domanda: l’appetito tien pensando? Una volta scoperto il velo di Maya, accettare il senso profondo del nutrimento e ciò ch’esso comporta non è più così piacevole. E fu così che il mangiatore di pane ha creduto meglio, per essere felice ed evitare il conflitto, di mangiare e non pensarci.