Abstract:
La tesi si propone di studiare il modo in cui il concetto di storicità ha informato il dibattito circa l'ontologia delle opere d'arte sviluppatosi in seno alla filosofia analitica a partire dagli anni '50 del XX secolo. In particolare viene presa in esame l'ipotesi –egemonica fino ai primi anni del 2000– che tutti o un'ampia classe di artefatti siano identificati da type astratti materializzati da occorrenze concrete. In primo luogo, viene analizzato il modo in cui l'ipotesi viene mutuata dalla semiotica di Peirce per diventare, grazie ai contributi di Wollheim e Margolis, una teoria ontologica vera e propria. In secondo luogo, viene esposta la critica che alla teoria viene mossa da Guy Rohrbaugh, secondo il quale pensare le opere d'arte nei termini di type e token impedirebbe di coglierne l'essenziale flessibilità storica. In terzo luogo, infine, viene dimostrata l'almeno parziale infondatezza della confutazione di Rohrbaugh sottolinenando come Margolis e Wollheim pensino le categorie type e token sullo sfondo del concetto wittgensteiniano di forma di vita e pongano dunque il tema della storicità al centro delle loro rispettive riflessioni. La parabola così descritta ha lo scopo di mostrare come l'ontologia analitica degli artefatti sia stata originariamente animata dal pensiero della storicità, ma che tale spinta sia stata in certo modo perduta per il prevalere di un'interpretazione sempre più platonizzante della relazione tra type e token.