Abstract:
La relatività linguistica è un problema sotto costante ridefinizione da un centinaio di anni. Negli ultimi trenta, si è assistito a un rinnovato interesse nel tema, soprattutto sul versante della ricerca empirica di stampo psicologico. Tuttavia, esistono ragioni per non essere soddisfatti dell'approccio del pur variegato mondo "Neo-Whorfiano". Le critiche provengono da più parti, ciononostante è possibile identificare un filo rosso di lamentele comune. In sintesi, il compromesso (che per l'era contemporanea si può far risalire a John A. Lucy) per cui gli effetti della lingua sul pensiero si possono coerentemente valutare soltanto in compiti in cui non c'è uso del linguaggio viene considerato troppo restrittivo e sminuente rispetto a quanto gli esseri umani fanno con il linguaggio. Le controproposte sono molteplici, dall'etnolinguistica e l'analisi dell'interazione, fino all'enattivismo in filosofia della mente. Paradossalmente, però, alcune di questi programmi alternativi che spesso si basano su una distinzione non così netta tra ciò che è pensiero, ciò che è linguistico e ciò che è azione, hanno l'effetto di dissolvere il problema della relatività linguistica per come lo abbiamo pensato finora. Pur abbracciando questo punto di vista, si vorrebbe tuttavia salvare l'intuizione che lingue diverse hanno effetti diversi sul nostro modo di vivere, mantenendo allo stesso tempo la trattabilità del problema. Nella tesi, sono anche approfondite diverse questioni definitorie rispetto al tema della relatività linguistica in generale, compreso - fra gli altri - il problema se la relatività linguistica sia da considerarsi un tipo di relativismo.