Abstract:
Lo stereotipo della Sardegna barbarica, selvaggia e primitiva risale all’epoca illuministica, si consolida nell’Ottocento con il fenomeno del banditismo e attraversa il Novecento, trasformandosi nella ricerca di un’Alterità pittoresca che ancora oggi è il fondamento del marketing turistico.
Il presente lavoro di tesi intende documentare in che modo gli esploratori, animati dal desiderio di conoscenza dell’uomo naturale (primitivo) che si attardava in un mondo ormai investito dalla Modernità, hanno contribuito a costruire questo immaginario e a nutrire le teorie della nascente antropologia. Il focus della ricerca è dedicato alla Sardegna, analizzata attraverso lo sguardo esterno dei viaggiatori e fotografi, che da secoli la percorrono rozzamente alla ricerca della conferma di quei cliché fortunati; e lo sguardo interno che, da parte sua, ancora intrappolato in una mentalità servilistica, si fa, più o meno inconsciamente, promotore dell’autenticità del racconto esterno, attraverso una produzione velatamente deturpatrice dello stesso nativo.
L’arco temporale esaminato attraverso fonti scritte e iconografiche (1720-1921) mostra una linea di pensiero univoca seppur malata e disconfermata da numerose evidenze iconiche e teoriche, ma che tuttavia riverbera i suoi echi velenosi fino ai nostri giorni. Questi stereotipi secolari sono ancora il pane del marketing turistico che continua a vendere la Sardegna come prodotto esotistico.