Abstract:
La mia ricerca si propone di ampliare la nostra conoscenza dei processi di produzione dell’immagine votiva attraverso lo studio di un insieme unico di ex-voto scultorei custodito all’interno del santuario della Madonna delle Grazie di Curtatone, situato a pochi chilometri dalla città di Mantova. Lo straordinario complesso votivo che si può ammirare all’interno è costituito da cinquantatre effigi che rappresentano il votante a grandezza naturale, la maggior parte delle quali databili al XVI secolo, policrome, polimateriche, accompagnate da attributi e accessori reali (come vestiti, corde, oggetti per la devozione…) e sistemate all’interno di nicchie entro un’impalcatura lignea completamente ricoperta da ex-voto anatomici in cera disposti in modo decorativo. L’impalcatura, che risale al secondo decennio del ‘500, è opera di alcuni frati minori osservanti che abitavano, all’epoca, il convento attiguo al santuario. C’è un’evidenza suggestiva che lega queste effigi a quelle della tradizione fiorentina, documentate da Aby Warburg all’inizio del secolo scorso in un saggio sul ritratto nella Firenze medicea posto a confronto con le statue in cera a grandezza naturale (bòti) che venivano nello stesso periodo collocate come ex-voto nella cappella della SS. Annunziata (A. Warburg “Bildnistkunst und florentinishes Bürgertum”, Gesammelte Shriften, Berlin 1932). Warburg fu il primo a riconoscere in queste sculture, che univano al corpo di cera con ossatura lignea capelli e vestiti veri, la massima manifestazione dell’urgenza umana di avvicinare il sacro in forma tangibile. Lo straordinario insieme oggi perduto delle effigi dell’Annunziata si trova documentato in numerosi testi del quindicesimo e sedicesimo secolo che registrano un’interessante convergenza di discorsi culturali legati al topos della mimesis. I documenti relativi ai bòti dell’Annunziata e ad altre rare testimonianze di questa pratica in Italia sono quindi posti a confronto con le caratteristiche tecniche delle effigi votive di Curtatone. Quest’analisi permette di affermare come non si tratti propriamente di rappresentazioni tridimensionali della figura umana ma di oggetti costituiti fisicamente dal legame votivo con il donatore (diverse effigi sono realizzate su calco) e che impongono interrogativi complessi.Una riflessione sugli aspetti antropologici di queste effigi non può non prendere in considerazione un elemento fondamentale che presiede al modo di costruire e di usare questi oggetti: l’ambiguità della raffigurazione da un lato e dall’altro il concetto di verosimiglianza, che permea la società europea occidentale di quel periodo.Oltre alle effigi votive, il mio lavoro prende in analisi anche gli altri elementi costitutivi del santuario di Curtatone: la scenografica impalcata lignea in cui sono collocate le sculture, la decorazione costituita da centinaia di ex-voto cerei in essa affissi, le iscrizioni rimate che accompagnano le effigi votive, l’affresco floreale della copertura a volte del santuario. La portata del mio lavoro è di dimostrare come questo scenario votivo, presenti una dimensione che va ben aldilà della semplice illustrazione del miracolo. Il dispositivo votivo delle Grazie ci obbliga a considerare la dimensione plurale e dinamica propria alle immagini, che concerne il ruolo attivo della rappresentazione nelle pratiche devozionali di questo periodo, la capacità che queste sculture hanno di provocare sull’osservatore un forte richiamo all’identificazione, e la funzione di queste immagini all’interno di una rete complessa di relazioni sociali e scambi simbolici che rinviano al contesto di committenza relativo al santuario: l’ordine francescano e la famiglia Gonzaga.