Abstract:
Il gagaku occupa una posizione apparentemente paradossale in un mondo dominato dal polso sempre più accelerato della musica commerciale. Troppo spesso ridotta ai suoi controversi rapporti con lo Shinto e con la famiglia imperiale, quest’antica arte performativa è al centro di una recente “esplosione silenziosa”: al di là della sua semplicistica equiparazione alla ‘musica di corte giapponese’ esiste infatti un’intera rete di praticanti appassionati, accesi dibattiti accademici e inattese connessioni con pressanti questioni politiche e ambientali. Questa tesi rintraccia la genealogia del gagaku di oggi, esplora alcuni legami nascosti tra le sue varie manifestazioni, e decentra lo studio di questo inafferrabile e irriducibile oggetto multiplo. Il Capitolo 1 lega varie modalità d’indagine del gagaku, dagli antichi trattati ai più recenti libri divulgativi, dagli approcci musicologici alle ricostruzioni di un passato sonoro dimenticato. Ciò che caratterizza queste modalità di rappresentazione è una sorta di straripamento reciproco -l’ostinato rimescolarsi di modi diversi di produrre conoscenza. Il Capitolo 2 si concentra sui decenni successivi alla restaurazione Meiji del 1868, e dimostra che alla fine del diciannovesimo secolo esso era intrecciato a progetti che rimescolavano tradizione e modernità. Col tempo, il gagaku fu percepito come la materializzazione sonora di politici e sociali, ma questo non fu che il risultato di un processo selettivo che enfatizzò solo alcune risonanze e mise a tacere alternative soniche divergenti. Il Capitolo 3 considera i gruppi locali attivi in un’area tra Kyoto, Osaka e Nara rinominata ‘il triangolo del gagaku’ e analizza come questi furono in grado di mantenere vive le proprie tradizioni nonostante i profondi mutamenti sociali prodotti dallo spostamento della capitale a Tokyo. Le loro storie moderne dimostrano che questi gruppi sfruttarono le relazioni con istituzioni locali, assicurandosi un futuro ancorandolo a particolari ricostruzione del passato. Così, l’emergenza della figura del ‘moderno appassionato di gagaku’ si deve a reazioni locali alla centralizzazione della musica di corte. Attraverso un resoconto etnografico delle attività del gruppo Nanto gakuso di Nara, il Capitolo 4 esplora come si diventa appassionati di questo genere oggi. Analizzando la struttura del gruppo, il concetto di “comunità di pratica” è reinterpretato sulla base dell’interpretazione ontologica del concetto di pratica proposta da Annemarie Mol. Il capitolo propone un’ontologia vibrazionale con cui ripensare l’osservazione partecipante, enfatizzando la tangibilità del gagaku e le sue risonanze con e attraverso il corpo. Tale passaggio dall’intangibile al tangibile è al centro del Capitolo 5, che presenta il dibattito sulla costruzione di un tratto autostradale a Udono, una piccola città tra Kyoto e Osaka in cui sono prodotte le ance di uno degli strumenti dell’ensemble del gagaku. Qui i discorsi sulla salvaguardia dell’ambiente e del gagaku sono intimamente intrecciati. A una ‘politica dell’intangibile’ che ritrae la musica di corte come una ‘specie in via d’estinzione’ viene contrapposta un’altra prospettica, in cui la materialità del gagaku non è scissa dalle sue qualità sonore. Scivolando attraverso varie ‘scale’ di grandezza (storica, sociologica, etnografica, ontologica, materiale) questa tesi propone un nuovo paradigma per lo studio del gagaku, in cui la sua complessità viene affrontata per mezzo di un immaginario che rimanda alla fluidità e alla vibrazionalità del reale. Inoltre, essa mostra che straripamenti, eterogeneità e eccentricità sono gli elementi primari di quella forza interstiziale che mantiene la ‘musica giapponese di corte’ in uno stato di continuo divenire, sottraendola alle definizioni, facendole rifuggire la singolarità, incoraggiando il suo stesso cambiamento.