Abstract:
Il presente lavoro tratta del problema dei futuri contingenti. Più specificatamente, si concentra sul fenomeno dell’asserzione di enunciati futuri contingenti all'interno di un contesto che si suppone essere indeterministico. Tale problema può essere visto come il risultato di due assunzioni. La prima è che, a causa dell’indetermismo, gli enunciati futuri contingenti non sono né veri né falsi. L’idea sottostante è che, se tali eunciati avessero un valore di verità, ogni accadimento futuro sarebbe inevitabile. Quest’ultima intuizione può essere fatta risalire ad Aristotele (De Interpretazione, Ch. 9). La seconda assunzione, invece, è che, essendo privi di valore di verità, gli enunciati futuri contingenti non sembrano correttamente asseribili. Tuttavia, siccome comunemente e frequentemente asseriamo enunciati futuri contingenti, sembra che qualsiasi teoria che affronti il problema dei futuri contingenti debba necessariamente rendere conto di questa apparente contraddizione. A tal fine, sono state avanzate almeno due strategie. La prima consiste nel sostenere che, sebbene non siano né veri né falsi, i futuri contingenti sono razionalmente asseribili. La seconda, invece, consiste nel negare tout-court la posizione aristotelica e quindi nel sostenere che i futuri contingenti sono veri o falsi senza che questo conduca ad accettare il determinismo.
Secondo un’ipotesi molto accreditata, il modo migliore per rendere conto dell'intuizione aristotelica consiste nell’assumere che la contingenza del futuro debba essere rappresentata per mezzo di un modello ad albero in cui ad un unico passato ritenuto immutabile (rappresentato dal tronco), si contrappongono infinti futuri possibili (rappresentati dai rami). Ogni ramo rappresenta un possibile corso futuro di eventi e, dato l’indeterminismo, nessuno stato di cose presente può determinare quale ramo sarà il “nostro” ramo, cioè il futuro che di fatto si verificherà. Le teorie che condividono un tale approccio sono perciò chiamate Branching-time theories. A queste teorie appartengono, tra le altre, la semantica supervaluationista di Thomason (1970), la double-time reference semantics di Belnap (1994, 2001) e la semantica relativista di MacFarlane (2003, 2014). Il presente lavoro esamina le soluzioni che tali teorie hanno avanzato per risolvere il problema dell’asserzione e conclude che nessuna di esse è in grado di redere conto in maniera soddisfacente di come sia possibile asserire enunciati futuri contingenti.
Per raggiungere tale conclusione, la tesi si divide in cinque capitoli. Nel primo capitolo, dopo aver introdotto il problema dei futuri contingenti, mostro come le tre teorie menzionate formalizzano l'intuizione aristotelica secondo cui i futuri contingenti non sono né veri né falsi. Nel secondo capitolo, presento un argomento per cui i futuri contingenti non sono correttamente asseribili e considero come Thomason potrebbe rispondere ad esso. Nel terzo capitolo illustro la teoria di Belnap e ne sottolineo i limiti, mentre nel quarto critico alcuni aspetti della proposta di MacFarlane. Infine, nel quinto capitolo sostengo che la ragione del loro fallimento risiede proprio nell’assunzione che rende tali teori semanticamente attraenti, vale a dire che a causa dell’inesistenza di un futuro privilegiato (o attuale) i futuri contingenti non possono essere veri o falsi al momento del loro proferimento. Come provo a dimostrare, tale assunzione è meno solida di quanto si creda dal momento che forza ad accettare principi meno plausibili di quelle che i teorici del branching solitamente rifiutano. Stando così le cose, concludo che al fine di dissolvere il problema dell’asserzione per i futuri contingenti è necessario rifiutare la tesi per cui i futuri contingenti non sono né veri né falsi.