Abstract:
Il militarismo e la violenza sono due concetti strettamente connessi. Il femminismo giapponese moderno, fin dalla sua nascita alla fine dell’Ottocento, ha sempre condannato ogni forma di violenza e promosso la pace. Tuttavia, gli stupri e la prostituzione forzata durante la Seconda guerra mondiale e l’occupazione militare americana del dopoguerra in Giappone sono diventati argomenti centrali delle campagne delle organizzazioni femminili solo negli anni Novanta. Nel 1992, la scoperta di documenti ufficiali che incriminavano il governo giapponese per l’organizzazione di un sistema di “schiave sessuali militari” durante la guerra e le prime testimonianze delle sopravvissute riaprirono una pagina della storia che il Giappone aveva cercato di nascondere al mondo. Ancora, lo stupro dell’ennesima ragazza a Okinawa nel 1995, da parte dei soldati americani, suscitò l’indignazione generale che le organizzazioni di attiviste giapponesi catalizzarono in proteste e azioni concrete per combattere il militarismo e criminalizzare la violenza contro le donne, in collaborazione con gruppi di attiviste ed enti internazionali. L’analisi della questione delle comfort women e degli stupri delle donne okinawane mettono in luce problemi comuni sia al Giappone sia agli Stati Uniti. Le due nazioni capitaliste sono colpevoli degli stessi crimini: discriminazione, assimilazione e nazionalismo. Le società giapponese e americana, ancora caratterizzate da valori maschilisti e razzisti, hanno perpetrato, attraverso il militarismo, discriminazioni di razza, etnia e genere sessuale, in un progetto di assimilazione del “paese vincitore” sul “paese sconfitto”. In guerra e nei periodi di militarizzazione, strumenti del potere maschile per eccellenza, la supremazia del dominatore sul sottomesso, in quanto popolo su un altro popolo o individuo su un altro individuo, trova la sua massima espressione nella violenza sul corpo della donna.