Abstract:
Nel 1854 il Giappone aprì i porti di Hakodate e Shimoda a europei e americani dopo un periodo di chiusura di duecento anni. Nel giro di pochi decenni assimilò molte tecnologie occidentali per velocizzare e migliorare il processo di modernizzazione che il governo aveva attivato per rendere il Giappone un paese al passo con le principali potenze occidentali. Negli anni settanta dell’Ottocento si sviluppò l’idea di creare una scuola d’arte i cui insegnamenti fossero finalizzati alla modernizzazione del Giappone. Venne così fondata nel 1876 la Kōbu bijutsu gakkō, una scuola d’arte nata come scuola di design il cui corpo docenti era composto esclusivamente da italiani. La scuola venne suddivisa in tre corsi: un corso propedeutico gestito dall’architetto milanese Gian Vincenzo Cappelletti, un corso di scultura diretto dallo scultore palermitano Vincenzo Ragusa e un corso di pittura coordinato da Antonio Fontanesi, che ricopriva anche la carica di direttore della scuola. La Kōbu bijutsu gakkō rimase attiva fino al 1883, anno in cui il governo giapponese decise di chiuderla: le due principali motivazioni per le quali il governo decise di porre fine alle attività della Kōbu bijutsu gakkō furono che la scuola si era allontanata troppo da quelle che erano le volontà iniziali del governo giapponese e un crescente nazionalismo mirato anche a una limitazione dell’influenza occidentale in campo artistico.
In questa ricerca si è preso in analisi la struttura della Kōbu bijutsu gakkō, le motivazioni per cui fu aperta e quelle che portarono alla sua chiusura. Si sono considerati anche i nomi dei principali artisti giapponesi che hanno studiato in quella scuola e hanno contribuito alla diffusione di tecniche e stili di stampo italiano in pittura e scultura: l’obiettivo era scoprire quanto questa scuola influì nell’arte in Giappone.
Nello stesso periodo in cui le tecniche pittoriche e scultoree italiane venivano insegnate alla Kōbu bijutsu gakkō, in Italia si diffondeva una moda che invase tutta l’Europa nella seconda metà dell’Ottocento e nei primi decenni del Novecento: il giapponismo. Oggetti, stampe, paraventi, ventagli e kimono furono importati in Italia e divennero parte dell’arredamento dei salotti aristocratici prima e delle case dei borghesi poi. Alcune tecniche pittoriche presenti nelle stampe giapponesi di artisti celebri in Europa come Hiroshige, Utagawa e Hokusai vennero prese e riadattate da artisti europei per la realizzazione di opere che presentavano così delle novità rispetto alla tradizione pittorica occidentale. In Italia furono i macchiaioli principalmente a distinguersi e a introdurre tra le loro tecniche un uso della prospettiva diverso e riconducibile a quella che si può osservare nelle stampe giapponesi dell’Ottocento.