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Scopo del lavoro è proporre una lettura del de reditu attraverso l'analisi dei fenomeni
dell'intertestualità e mostrare come le memorie poetiche siano funzionali alla costruzione e alla
trasmissione di precisi messaggi di carattere politico, nei confronti delle questioni più scottanti del tempo, quali in primo luogo il problema dei Barbari e la missione di Roma, impero universale destinato a garantire la pace, l'ordine e la civilitas, ma anche il ruolo delle élites aristocratiche nella gestione del potere.
Il I capitolo è dedicato al mondo di Rutilio Namaziano, ovvero il mondo delle élites tardoantiche, dei loro valori e delle loro tradizioni, così come era percepito - o piuttosto si desiderava fosse percepito - dal suo stesso interno, attraverso i termini del linguaggio dell'autorappresentazione
senatoria. Si mostra così come i numerosi elogia del de reditu di amici e parenti si inseriscano in un lungo processo di ripensamento della propria immagine e del proprio ruolo sociale messo in atto dai proceres viri a partire dalla metà del IV secolo e che si manifesta e si realizza tanto nella produzione letteraria quanto attraverso le iscrizioni per le basi di statue.
Nel secondo capitolo, a partire da un brano molto noto quale l'invettiva contro Stilicone si
ricostruisce come le allusioni ai panegirici di Claudiano e all'Eneide diventino la chiave di lettura e di valutazione del dramma del sacco alariciano, che esasperò il clima "da fine del mondo" in cui pagani e cristiani dibattevano da tempo i destini di Roma. I risultati raggiunti consentono di affrontare da una nuova prospettiva il problema della datazione del viaggio di Rutilio e della composizione del poemetto, e di proporre una diversa interpretazione delle circostanze e delle motivazioni del reditus, come pure della funzione e destinazione del "diario" rutiliano.
Infine nel terzo capitolo, si discute il de reditu in quanto progetto letterario, nei suoi rapporti
con la tradizione odeporica latina e con i possibili modelli, proponendo un'inedita immagine "oraziana" di Rutilio. Si propongono quindi nuove letture di altri due celeberrimi passi del poemetto, le invettive antimonastiche, sia analizzando la riproposizione operata da Rutilio delle opposte valutazioni della vocazione ascetica che emergono dallo scambio epistolare tra Ausonio e Paolino di Noia; sia mettendole a confronto come finora non era stato latto con le riflessioni dei poeti del cosiddetto 'circolo aquitanico', sulla durezza dei tempi e l'invito che se ne sarebbe dovuto trarre ad una vita di maggior rigore morale (in particolare, carmen ad coniugem=Ps. Paul. Nol. c. 1 ; Epigramma Paulini e carmen de Providentia Dei). In conclusione, a proposito della "fortuna del de reditu" si esamina quello che ne rappresenta un sicuro capitolo: il panegirico di Avito scritto da Sidonio Apollinare nel 456.
Purpose of this work is to propose a reading of the de reditu through the analysis of its intertextuality and allusiveness and to show how Rutilius Namatianus used allusions to poets as a means to create and transmit precise political messages concerning the hottest issues of his time, such as primarly the Barbarian problem and the mission of Rome, as a worldwide empire fated to ensure peace, order and civilitas, but also what role the aristocrat elites could or should play in the government.
Chapter I focuses on Rutilius' world, that is the world of late antique Roman aristocrats, with
their values and their traditions, as they saw themselves (and most importantly as they wanted
themselves to be seen) through the terms of the language of senatorial selfrepresentation. So the elogia of various Mends and relatives in the de reditu are shown to be a part of the long re-examination process about their image and their social role the aristocrats started since the half of the IV century and realized in literary works as much as through honorary inscriptions.
On chapter II, starting from a well-known passage of the poem, the invectiva in Stilichonem,
the allusions to Claudian's panegyrics and to Virgil's Aeneis are highlighted as the code Rutilius used to read and assess the tragedy of the sack of Rome, the event that exasperate the "Endo of the World" climate wherein pagans and Christians had long been debating about the fate of Rome. Building on this analysis is also possible on one hand to deal from a new point of view with the question about the date of Rutilius journey and of the composition of the poem and on the other hand to suggest a different interpretation of the circumstances and motives underlying his reditus and of the function and goal of his journal.
Finally on chapter III the poem is investigated as a literary project, in relation to latin travel
literatur and to its probable literary models. An original Horatian image of Rutilius is consequently proposed. New readings of two famous passages of the poems, the invectivae against the monks, are also proposed. The approach here is twofold: first an analysis is presented of Rutilius' literary relation with and dependence from the conflicting opinions about the ascetic vocation which spring from the correspondence between Ausonius and Paulinus of Nola; then the Rutilian passages are compared with the Fifth-century Gaul poets' thinking about the harshness of their times and the consequent invitation to a life of ascetism (part, carmen ad coniugem=Ps. Paul. Nol. c. 1; Epigramma Paulini e carmen de Providentia Dei). The chapter ends with the examination of Sidonius Apollinaris' panegyric for the emperor Avitus, wich proves the circulation of Rutilius' poems in Gaul at least. |
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