Abstract:
Che cos’è la giustizia? Un quesito che ogni società si è posta e che ancor oggi resta insoluto e attuale. Probabilmente perché non esiste una risposta univoca, in quanto essa appare espressione della società che la esprime. Venezia definì la propria una giustizia non solo giusta, come comprensibilmente ogni realtà giuridica d’antico regime era incline a rivendicare, ma soprattutto una giustizia che si manifestava tramite l’equità: equità e perfezione erano le caratteristiche tramite cui il mito alimentava la prassi di governo veneziana e, soprattutto, le modalità tramite cui si risolvevano i conflitti. Nella tesi si è cercato di mettere in evidenza come nella prima metà del XVIII secolo, tra le pieghe dei pareri del consultore in iure, Paolo Celotti, potessero emergere gli intimi legami con l’ideologia politica veneziana e la celebrazione culturale della giustizia posta in essere dallo stesso patriziato. Ma si è prestato pure attenzione alle tipologie dei conflitti e alla retorica tramite cui venivano esplicitati dal consultore di seguito alle richieste di alcune supreme magistrature della città dominante.
La rivisitazione settecentesca degli antichi e mai sopiti sentimenti giurisdizionalisti offrì nuovo vigore così che la Serenissima potesse ristabilire la sua autorità su questioni tradizionalmente soggette ad altre competenze giurisdizionali, in primis la Chiesa cattolica. Appropriazione, questa, che diede adito a scontri anche aspri con le diverse manifestazioni del potere ecclesiastico. Tali scontri, analizzati nell’ambito delle vicende che misero in rilievo temi come l’immunità sacra e l’istituto matrimoniale, evidenziarono le strategie che la Repubblica intraprese al fine di sostenere il suo diritto e le sue prerogative sovrane.