Abstract:
La ricerca ha inteso rivalutare la figura di Corrado Martens, un artista di origine danese, nato e
vissuto a Venezia tra 1894 e 1970. Al suo nome sono oggi associati quasi esclusivamente i vetri
disegnati per la ditta muranese "Aureliano Toso", della quale è stato direttore artistico dal 1947 fino
al 1959 e consulente fino al 1963, tuttavia egli ha dipinto, fin da giovanissimo, lungo tutto l'arco
della sua esistenza. I suoi vetri sono stati oggetto nella seconda metà del Novecento di esposizioni
internazionali, di svariate menzioni in pubblicazioni specialistiche e anche di uno studio
monografico condotto dal gallerista e connaiseur Mare Heiremans.
Sulla sua pittura, invece, dal secondo dopoguerra è quasi completamente caduto il silenzio.
Già nel 1977 Aureliano Toso, titolare della ditta presso la quale Martens operava, in occasione della
antologica dedicata ai vetri dell'artista a Murano, segnalava la necessità di rivalutare la sua forma
mentis di pittore.
La ricerca di dottorato ha preso spunto da tali presupposti e, in particolare, dagli interventi critici di
Giuseppina Dal Canton e Sergio Mannelli, che tra la fine degli anni Ottanta e gli anni Novanta
hanno evidenziato il rilevante contributo di questo pittore nell'ambito della ricerca figurativa del
rappel à l'ordre e ne hanno riportato in luce testi pittorici fondamentali, quali i dipinti Giocatori di
bocce e La cena dei pescatori.
Il presente studio ricostruisce il percorso biografico e il curriculum espositivo dell'artista nella sua
completezza, ma privilegia l'approfondimento critico della stagione compresa tra le due guerre
mondiali. Tale periodo corrisponde, infatti, alle sue più rilevanti partecipazioni espositive.
Oggetto centrale è lo studio della evoluzione stilistica di Corrado Martens in relazione al dibattito
sollevato dalle mostre d'arte veneziane.
Negli anni Venti e Trenta egli è presente, infatti, in modo costante alle Esposizioni Internazionali
della città di Venezia e alle mostre dell'Opera Bevilacqua La Masa, che costituiscono allora
importantissime sedi di confronto e di aggiornamento per gli artisti veneziani.
Non sono noti scritti di Martens relativi alla propria pittura, né vi sono stati in passato studi
monografici ad essa dedicati. Particolare rilievo hanno assunto perciò i materiali documentari, che
sono stati individuati presso l'Archivio della Galleria d'arte moderna di Venezia, Ca' Pesaro e
l'Archivio Storico delle Arti Contemporanee.
E' stato inoltre esaminato il dibattito critico sollevato dalle mostre, grazie allo spoglio sistematico
dei periodici dell'epoca e grazie allo studio dei coevi interventi della critica.
Oltre alle immagini tratte da cataloghi e periodici, sono state reperite numerose fotografie d'epoca
e, soprattutto, individuati molti dipinti in collezioni private. E' stato, così possibile ricostruire un
corpus di circa duecento opere, molte delle quali inedite.
Lo studio comparato di tali fonti ha consentito da un lato di definire i caratteri peculiari della sua
pittura, dall'altro di evidenziare la paradigmaticità della sua evoluzione stilistica in rapporto alle
vicende dell'arte veneziana degli anni Venti e Trenta.
La sua opera è risultata caratterizzata da due fasi. La prima, che si può definire neo-oggettiva, si
manifesta alla metà degli anni Venti, con l'exploit alla Biennale del 1924. La sua pittura presenta in
questo momento profonde affinità con la ricerca di Natale Scarpa, ossia Cagnaccio di San Pietro: i
soggetti preferiti dai due artisti sono i popolani delle isole della Laguna, che essi ritraggono con una
nitidezza prossima all'iperrealismo e nature morte, composte di oggetti comuni: prodotti della terra
e del mare, ceramiche domestiche. La loro formula rifiuta ogni idealizzazione e si propone fin
dall'esordio alternativa a quella dei pittori del Novecento, presentati a quella stessa Biennale dal
critico milanese Margherita Sarfatti: Bucci, Funi, Dudreville, Sironi, Malerba e Marussig. Martens e
Cagnaccio rifiutano ogni idealizzazione del soggetto, che il modello nazionale tendeva allora ad
imporre.
La seconda coincide con un progressivo avvicinamento di Martens ai cosiddetti pittori di Palazzo
Carminati. La pittura di paesaggio, che egli pratica con sempre maggiore interesse, lo induce nella
seconda metà degli anni Venti a modificare progressivamente il suo stile: alla ricerca di volumi ben
definiti si aggiunge una maggior attenzione a fattori luministici e atmosferici.
Lentamente anche i soggetti di figura si modificheranno, con una sempre maggiore attenzione al
rapporto tra soggetto e ambiente.
Negli anni Trenta tali modi tendono nella pittura di Martens a convergere, così come le due
complementari tendenze veneziane troveranno, nell'integrazione, occasione di riscatto nei confronti
della pittura della vecchia guardia, ancora legata a modelli tardo-ottocenteschi.
Martens che aveva esordito nel 1924 come pittore neo-oggettivo, nel 1931 entra a far parte del neoimpressionista
"Gruppo dei Tredici", presentato da Barbantini a Roma, con Seibezzi, Bergamini,
Dalla Zorza, Da Venezia, Scarpa Croce, Scarpa Bolla, Villa, Varagnolo, Ravenna, Mori, Novati.
Più che ai modelli francesi privilegiati dagli altri esponenti del gruppo, Martens guarderà alla
tradizione della pittura veneziana di tono.
Oggetto centrale della sua ricerca come quello degli altri giovani artisti del sodalizio sembra essere
sopra ogni altro quello della riconciliazione con l'identità veneziana.
Prima di partire per l'Africa come legionario si cimenterà con tecniche desuete, come quella del
mosaico e dell'affresco.
Se l'affresco esposto alla Mostra Bevilacqua la Masa nel 1934 subisce l'influsso della retorica di
regime, nella raffigurazione dell'incontro di Mussolini con Hitler, una più personale interpretazione
della pittura murale Martens dà negli affreschi realizzati in una trattoria di Murano: il ritratto corale
dei frequentatori del luogo d'incontro conviviale vede infatti prevalere la capacità narrativa.
Con quest'opera coincide il suo congedo da Murano. L'esperienza dell'Africa muterà il suo stile
non tanto sul piano delle tematiche, ma con una nuova attenzione al colore, che si esprimerà nel
secondo dopoguerra nei fantasiosi coloratissimi vetri creati per la "Aureliano Toso"
This research intends to revalue the figure of Corrado Martens, an artist of Danish origins, who was
born and lived in Venice between 1894 and 1970. Nowadays his name is associated almost
exclusively to the glasses he designed for the Murano firm 'Aureliano Toso', of which he was
artistic director from 1947 to 1959 and consultant until 1963. Nevertheless, he painted since a very
early age, throughout his life. In the second half of the twentieth century, his glasses were shown at
international exhibitions, received several mentions in specialised publications, and were the subject
of a monographic study by gallery owner and connaiseur Marc Heiremans.
On his paintings, however, there has been almost complete silence since the end of the Second
World War. Already in 1977, at a Murano anthological exhibition dedicated to the artist's glasses,
Aurelio Toso, owner of the firm in which Martens worked, highlighted the need to revalue his
painter's forma mentis.
This doctorate research was inspired by such bases, and, in particular, by Giuseppina Dal Canton's
and Sergio Marinelli's critical reviews. Between the end of the 1980s and the 1990s they both have
highlighted this painter's relevant contribution in the sphere of the figurative research of rappel a
l'ordre, and they have brought back to light fundamental paintings such as Giocatori di bocce
(Bowlers) and La cena dei pescatori (Fishermen's supper).
This study reconstructs Corrado Martens' whole biographical path and artistic curriculum, but it
privileges the critical examination of the period between the two world wars. This is the time of his
most relevant participations to exhibitions.
The central subject is the study of the artist's stylistic evolution, in relation to the debate raised by
the Venetian art exhibitions.
In the 1920s and 1930s he is constantly present at the Venice International Exhibitions and at the
Opera Bevilacqua La Masa exhibitions, both of which represent extremely important places of
comparison and updating for Venetian artists of that time.
There are no publicly known writings by Martens regarding his painting, nor have there been
monographic studies devoted to this subject in the past. Therefore, the documents found in the
Archives of the Gallery of Modern Art in Venice, in Ca' Pesaro and in the Historical Archives of
Comtemporary Arts, acquired particular importance in this study.
The critical debate raised by the exhibitions has also been examined, through the systematic perusal
of that time's periodicals and through the study of the coeval critical reviews.
In addition to images taken from catalogues and periodicals, numerous photographs of that time
were found, and above all, many paintings were identified in private collections. It has thus been
possible to put together a corpus of about 200 pieces of work, many of which are unpublished.
The comparative study of such sources has permitted, on the one hand, to define the distinctive
traits of his painting, and, on the other hand, to highlight the paradigmatic nature of his artistic
evolution in connection with the events of the Venetian art of the 1920s and 1930s.
His work has been found to be distinguished in two phases. The first, which can be defined of new
objectivity, was expressed in the 1920s, with the exploit at the Biennale in 1924. His painting at this
point shows deep similarity with the studies of Natale Scarpa, alias Cagnaccio di San Pietro: the
two artists' favourite subjects are the common people of the Lagoon's islands, whom they portray
with a clearness close to hyperrealism, and still-lifes, composed of ordinary objects: products of the
land and of the sea, home pottery. Their formula rejects any idealisation and, from the start,
proposes itself as an alternative to that of the twentieth century painters, brought to the same
Biennale by the Milan critic Margherita Sarfatti: Bucci, Funi, Dudreville, Sironi, Malerba and
Marussig. Martens and Cagnaccio reject any idealisation of the subject, which the national standard
of the time tended to impose.
The second phase sees Martens moving progressively closer to the so-called 'Palazzo Carminati
painters'. Landscape painting, which he practises with ever-increasing interest, leads him, in the
second half of the 1920s, to gradually modify his style: an increased attention to lights and
atmospheres is added to his search for well-defined volumes. Slowly, his figure subjects will also be
modified, revealing an increased attention to the relationship between the subject and the
environment.
In the 1930s, these two styles tend to converge in Martens' painting, just as the two complementary
Venetian trends will find in the integration a chance to free themselves from the old guard, still
attached to late-nineteenth-century models.
Martens, who had made his debut in 1924 as a new-objective painter, in 1931 joins the neoimpressionist
group 'Gruppo dei Tredici' (Group of the Thirteen), introduced in Rome by
Barbantini, together with Seibezzi, Bergamini, Dalla Zorza, Da Venezia, Scarpa Croce, Scarpa
Bolla, Villa, Varagnolo, Ravenna, Mori, and Novati. Rather than the French models favoured by the
other members of the group, however, Martens will look at the tradition of the Venetian tone
painting
Just like for other young artists belonging to the association, the central object of his study, above
any other, seems to be the reconciliation with his Venetian identity.
Before leaving for Africa as a legionary, he will experiment with disused techniques, such as
mosaic and fresco.
While the fresco shown at the Bevilacqua la Masa exhibition in 1934 is influenced by the regime's
rhetoric, in its portrayal of the encounter between Mussolini and Hitler, Martens gives a more
personal interpretation of wall-painting in the frescos painted in a small restaurant in Murano. In
this group portrait of the regular customers of the convivial meeting place his narrative abilities are
revealed.
After this work he will leave Murano. The experience in Africa will change his style, not so much
as subjects are concerned, but in terms of a new eye for colour, expressed after the Second World
War in the imaginative, colourful glasses created for the Aureliano Toso firm.