Abstract:
Questo lavoro si prepone di dimostrare l’ipotesi secondo cui le peculiari caratteristiche morfo-sintattiche della lingua cinese giocano un ruolo importante e fondamentale all’interno del processo dei trapianti legali cinesi. È, infatti, proprio la natura isolante della lingua cinese a permettere al traduttore di dare vita a combinazioni morfologiche tendenti ad assumere valenze di significato ambigue, trapiantando un termine legale che traduzione fedele del termine d’origine, apparentemente, non è, poiché rimanda a un concetto legale diverso. Le stesse caratteristiche, però, conferiscono al neologismo una sorta di elastica vitalità che permette al termine stesso, passando attraverso distinte fasi interpretative, di essere assimilato dalla cultura di ricezione diventando parte del gergo quotidiano e, con il tempo, convogliare (grazie anche agli attuali strumenti di comunicazione internazionale e globalizzata) verso un’interpretazione univoca, concettualmente in linea con il termine legale d’origine. Questo fenomeno socio-linguistico e culturale spinge inevitabilmente a riconsiderare le tanto criticate tesi di Watson. Si può parlare di una pienamente operabile “trapiantabilità” del diritto, anche tra sistemi giuridici lontani e culture legali incredibilmente diverse tra loro? Quale ruolo svolge la lingua in relazione con il diritto, all’interno di questo fenomeno?