Abstract:
La presenza cinese in Africa non è un fenomeno nuovo: fin dalla sua formazione la RPC cominciò a provare interesse verso i paesi del Terzo Mondo. Ma fu soltanto a partire dalla prima conferenza del FOCAC, tenutasi a Pechino nel 2000, che i rapporti sino-africani si intensificarono e presero la forma del cosiddetto “soft power”. Il successo di questa nuova strategia cinese nel continente africano è dovuto alla cooperazione “win-win”, alla diplomazia pubblica cinese, alla sua politica di non-interferenza e al suo concetto di “ascesa pacifica”. Gli ambiti di attuazione sono molti e consistono negli aiuti allo sviluppo economico africano, negli ingenti investimenti in grandi opere infrastrutturali e nella cancellazione dei debiti. Ma gli interventi in campo sociale e culturale sono i più interessanti: la Cina iniziò a promuovere gli scambi culturali, iniziò ad offrire borse di studio per gli studenti africani che volevano andare in Cina a studiare e, infine, iniziò ad aprire su tutto il territorio africano gli Istituti Confucio, per lo studio e la diffusione della lingua e della cultura cinesi. Per poter influenzare profondamente anche il popolo africano, i cinesi utilizzano i propri potenti mezzi di informazione statali (la CRI, la CCTV e l’agenzia di stampa Xinhua). Questi media, recentemente, sono entrati nel panorama mediatico africano, fornendo assistenza e promuovendo nuovi programmi di comune interesse. Ma come percepiscono gli africani la presenza cinese nel loro territorio? La visione generale è positiva, anche se le opinioni si diversificano in base alla regione africana analizzata e ai diversi gruppi sociali di cui è composta. Gli scopi finali del soft power cinese in Africa sono: innanzitutto, avere accesso alle grandi riserve di materie prime di cui l’Africa è ricca; in secondo luogo, diminuire l’influenza occidentale in questi territori; infine, isolare Taiwan. L’opinione pubblica e i media sono degli strumenti chiave per raggiungere questi obiettivi.