Abstract:
Il presente contributo analizza diversi casi-studio visuali tratti da fotografia, letteratura e cinema per ampliare il discorso su tre aspetti del rapporto che intercorre tra immagine e violenza, ovvero forma, contesto e incomunicabilità. Proprio perché è soprattutto in Occidente che l'immagine si prepone di mediare il mondo circostante e il retaggio storico-culturale dell'uomo contemporaneo, la rappresentazione visuale dell'orrore si costituisce quale focus di riflessione per evidenziare l'importanza del lavoro di comunicazione e ricostruzione dell'evento in cui è stato perpetrato un atto brutale. L'osservatore è così chiamato a rispondere eticamente di fronte al massacro che condanna le minoranze e i civili inermi ad esecuzioni sommarie e senza processo, i sopravvissuti al silenzio e la memoria individuale, sociale e storica a perdersi. Agire verso la testimonianza (visiva, scritta od orale che sia) permette di interrogarci sulle modalità con cui l'estetica, le nuove tecnologie e la ricostruzione letteraria e cinematografica mediano e dispongono dell'istante e del ricordo traumatico al pubblico; a partire da alcuni contributi di Georges Didi-Huberman, Harun Farocki e Elie Wiesel e attraverso la stimolazione di libere associazioni tra le fonti, questo saggio non pretende di trovare soluzioni, ma tenta di reagire al non-umano e alle sue tracce riflettendo sul legame tra violenza e rappresentazione nelle forme più diverse.