Abstract:
È oramai assodato come la poesia comica medievale in lingua volgare sia il frutto di un’operazione
del tutto consapevole e assai composita; un’operazione quindi letteraria, volta a parodiare la più
solenne lirica amorosa codificatasi a cavallo tra XI e XII secolo. Non solo, la matrice alla base, il
collante tematico, antitetico al motivo cortese, suggerisce altresì la coscienza d’una comune cultura,
la stessa che si avvalla poi, nella nostra penisola, nei comico-realistici attivi prevalentemente nella
Toscana del XIII secolo.
Senza originare una vera e propria scuola, è evidente un humus condiviso. L’eterogeneità delle voci
anche solo ricondotte, a posteriori, a quest’ultimo insieme sollecita infatti una certa cautela
nell’approccio critico, quantomeno rispetto all’istintiva praticità di compartimentarle entro un
fenomeno unitario.
Ciò tuttavia non suggerisce una frattura tale da creare un’irreparabile distanza tra la lirica canonica,
idealistica, e certa ‘poesia di reazione’, poiché le incursioni di affermati e illustri poeti – Guinizzelli,
Cavalcanti, lo stesso Dante, etc. – suggeriscono al contrario un gusto della sperimentazione entro
quella che con ogni evidenza rappresentava un’alternativa serenamente percorribile.
Riconosciuto allora lo statuto poetico dei comico-realistici, sarà interessante aprire un’indagine che
possa ricostruirne le fonti, in un percorso a ritroso a partire dalla produzione mediolatina, a sua
volta ispirata agli auctores della latinità classica.
Ci si soffermerà in particolare sulla figura femminile, tipicizzata sul tòpos dal sapore misogino e
antifemminista della «villana», della popolana, giovane o vecchia che sia. Questa, rispetto alla
donna del trovatore prima e degli stilnovisti poi, si afferma per il carattere avaro e venale o
quantomeno soggetto alle influenze della materia e da essa potenzialmente lordato. E ancora,
laddove non vi è l’attacco diretto né una descriptio degradante, vi è la fanciulla, spesso una
contadina o una pastorella, la cui violenza sessuale è legittimata dall’estrazione sociale, inferiore a
quella del cavaliere o nobiluomo che intende averla.