Abstract:
Come vivono la propria identità nel contesto italiano le persone musulmane queer, femministe, multirazziali e convertite? Come considerare il loro agire tra fede e marginalizzazione oltre le dicotomie religioso/secolare e personale/politico? Tramite l'esperienza di un gruppo di femministə islamicə, la tesi approfondisce questi interrogativi in dialogo con la teoria femminista e dell'intersezionalità e l'antropologia dell'Islam e dell'attivismo. Attraverso la fenomenologia di Anzaldúa (1987) sull'"interstizio" tra mondi sociali e l'enfasi di Ribeiro (2019) sull'"enunciazione", l'esperienza dellə interlocutorə sarà interpretata a partire dal loro abitare spazi mutevoli tra appartenenza e non-appartenenza, "interstizi di enunciazione" da cui emerge un discorso continuamente destabilizzato da relazioni di privilegio e oppressione. Il concetto di "passion" dell'antropologa Amira Mittermaier (2012) - l'"essere agitə" dal divino - sarà adottato per descrivere come questo vissuto "tra" categorie delinei un’esperienza di fede caratterizzata da un'intersectional passion, l’assumere la propria diversità come parte di un progetto divino. A differenza di approcci alla fede focalizzati su un’etica del corpo, la religiosità del gruppo risulta così in una self defense delle proprie soggettività, mediante una “hometactic” (Ortega, 2016) di riappropriazione anarchica e radicale del femminismo islamico. Nelle prassi del gruppo, l'intersectional passion si articola in forme di cittadinanza ispirate alla nozione islamica di khalifa, successorə o vicariə, configurando un’epistemologia della cura e pratiche di solidarietà con altre soggettività marginalizzate.