Abstract:
L’osservazione e l’introiezione di un’alterità culturale determinano precise modalità percettive (e narrative) tra loro compresenti. Se da un lato l’analogia permette all’osservatore la riconduzione della diversità all’orizzonte intellettuale del noto, dall’altro la presa di distanza dal dato osservato altro non è che la riaffermazione della propria identità. Lo straniamento è motivato da molteplici fattori, uno dei quali è la religione: i francescani, veri e propri mediatori culturali fra l’Occidente cristiano e l’Oriente mongolo, viaggiarono in Asia a partire dagli anni Quaranta del Duecento, in un’epoca in cui la conoscenza del continente asiatico – tutt’altro che empirica – era ancora fortemente legata al mito dell’Oriente fantastico sulla scorta della letteratura didattica e geografica degli autori latini. I frati entrarono in relazione con l’alterità religiosa sciamanica e buddhista e, nel tentativo di comprenderla e farla comprendere, la documentarono nei loro scritti: alcuni aspetti (come il sentimento di generale ostilità verso gli orientali e la descrizione più o meno approfondita di usi e costumi) si riscontrano in tutte le opere, mentre altri dipendono dalle differenti motivazioni (quali le legazìe papali, i mandati imperiali, la semplice curiosità personale) che sottostanno all’esperienza stessa del viaggio e dai generi letterari di riferimento (itinerarium, historia, trattato). La controparte laica dell’esperienza francescana risiede nel viaggio in Oriente di Marco Polo, cristiano al pari dei frati ma mosso da ragioni di carattere mercantile e non teologico-missionarie: in questo caso, l’orizzonte di pertinenza è comunque interno alla Christianitas e perciò determina delle analogie – oltre che delle sostanziali differenze – con i resoconti francescani.