Abstract:
A partire dagli anni Ottanta, le istituzioni museali hanno cominciato a promuovere una politica espositiva più inclusiva, affrontando le nuove sfide poste dal sistema dell’arte globale. Ma è soltanto con il nuovo Millennio che la rilettura postcoloniale della storia dell’arte e delle pratiche espositive ha cominciato a dare reale visibilità agli artisti rimasti nell’ombra e a far emergere gli spettri del passato coloniale. Nel più ampio contesto del processo di decolonizzazione artistico-culturale, questa tesi prende in esame, come casi di studio, due esposizioni collettive recentemente organizzate al Palais de Tokyo di Parigi, che hanno presentato, per la prima volta in Francia, il lavoro di numerosi artisti provenienti dal Sud Globale. La prima, Ubuntu, un rêve lucide (2021-2022), a cura di Marie-Ann Yemsi, ha esplorato quella che può essere definita una filosofia umanistica africana, sopravvissuta a secoli di schiavitù e colonialismo, e basata sulla relazione e la reciprocità tra le culture. La seconda, Réclamer la Terre (2022), a cura di Ariel Salleh, ha cercato di adottare uno sguardo globale sull’attuale crisi ecologica, per recuperare i saperi indigeni e ripensare il rapporto con il pianeta. Pur adottando diverse prospettive sulla contemporaneità, le due esposizioni dimostrano l’importanza di includere negli spazi istituzionali artisti provenienti da geografie un tempo considerate marginali, che, con le loro opere, riportano alla luce storie dimenticate, al fine di riscrivere il passato e proporre nuovi modi di vivere il presente.