Abstract:
Sostantivo, aggettivo e – soprattutto – verbo, il termine inglese queer (in italiano strano, bizzarro) rappresenta un movimento sociale, politico e culturale in continua evoluzione che fatica a piegarsi alla definizione.
Performativo e provocatorio, il movimento mette luce sulle relazioni di potere che si nascondono dietro l’idea di ‘normatività’ quando si parla di genere, sesso e sessualità. Pensando al queer come a uno strumento, però, questa tesi propone il suo utilizzo all’interno delle pratiche culturali, illustrando alcuni esempi – usando un termine della curatrice e storica dell’arte Maura Reilly – di ‘attivismo curatoriale’. Attraverso il potere destabilizzante del queer, è possibile mettere in discussione processi espositivi e modalità di fare cultura universalmente riconosciute; selezione delle collezioni, sistemi di catalogazione, allestimenti e servizi educativi sono solo alcuni degli ambiti di responsabilità politica che coinvolgono musei e istituzioni culturali e per i quali è necessario pensare ad un approccio transdisciplinare e nuovi vocabolari di riferimento: ha ancora senso parlare di inclusività all’interno dei musei? E se così fosse, che tipo di esclusione implicherebbe questa presa di posizione? Proveremo, in conclusione, a decostruire le barriere eteronormative, immaginando il museo come uno spazio scomodo per tanti e sicuro per chi, finora, ha rappresentato la minoranza.