Abstract:
Durante l'esperienza lavorativa, troppo spesso, i giovani professionisti hanno la possibilità di constatare come la relazione che molti degli assistenti sociali più esperti e maturi instaurano con gli ospiti accolti nei centri d’accoglienza sia marcatamente asimmetrica; e se da un lato è pur vero che tale ipotesi è contemplata anche all'interno del Codice Deontologico degli Assistenti sociali, dall'altro, lo stesso Codice obbliga il professionista ad agire con la massima trasparenza, informando la persona sui suoi diritti e doveri e condividendo con quest'ultima non solo il progetto, ma anche gli interventi funzionali al progetto stesso.
A questo riguardo, durante l'esercizio della professione, capita di biasimare spesso l'espletamento delle funzioni di informazione e di orientamento di alcuni colleghi; più volte gli immigrati sono apparsi “spaesati”, “estrane[i] al linguaggio legale in cui sono formulati il dovere di ospitalità e il diritto d'asilo, i loro limiti, le loro norme, la loro gestione e così via” (Derrida, 2000:15). Questo tipo di atteggiamento professionale non soltanto va a ledere una serie di diritti fondamentali per il richiedente asilo, ma anche la sua dignità in quanto persona.
Gran parte della responsabilità di tutto ciò è certamente attribuibile alla passata esperienza colonialista del nostro Paese ed alle istituzioni italiane che – dagli anni Novanta in poi - hanno avvelenato l’immagine rappresentativa degli immigrati– specie se provenienti da specifiche aree geografiche del mondo – con atteggiamenti inferiorizzanti e stigmatizzanti. Tali preconcetti hanno invaso il circuito d'accoglienza, fino a contaminare le menti di molti professionisti che – seppur involontariamente e senza neanche rendersene conto – sono soliti riproporre le medesime logiche razziste e di subordinazione; “gli stessi organi che dovrebbero [proteggerli], e integrarli socialmente, li chiudono in un circuito spazio-temporale segregato e duraturo (Pinelli, 72:2014). Con il presente elaborato ci si propone, dunque, di individuare e di approfondire la conoscenza di strumenti innovativi – come la comunicazione interculturale -, necessari agli assistenti sociali per la messa in pratica di un’azione professionale quanto più corretta possibile, che consenta loro di agire valorizzando la persona, rispettando la sua dignità e unicità in un sistema che, oltre a generalizzare e classificare il richiedente asilo-utente, ne limita notevolmente la libertà e, dunque, la capacità di azione e di autodeterminazione.