Abstract:
Il presente lavoro di tesi si propone di esaminare l’utilizzo dello specchio come medium performativo nella scoperta del Sé e dell’Altro. A partire dagli anni Settanta lo specchio ha iniziato a ritagliarsi un proprio spazio nelle pratiche espressive del contemporaneo, raggiungendo una pienezza simbolica nelle specifiche arti della performance e della fotografia.
La duplicazione del mondo nello specchio rinvia alla sua funzione primaria, ovvero quella di includere l’osservatore stesso: colui che guarda può ora guardarsi. A differenza di un quadro o di una fotografia, tuttavia, lo specchio è privo di un altro tipo di memoria. Esso, infatti, non rappresenta: semplicemente è una superficie riflettente che non rielabora alcuna informazione. Acquista una memoria di tipo rappresentativo solo nel momento in cui un soggetto vi si specchia, ma tale memoria non si imprime sulla sua superficie. Il medium è, infatti, doppiamente performativo per la sua singolarità di essere una superficie che non trattiene mai fissa nessuna immagine e per suggestionare chi vi si specchia, l’artista o un passante, verso una qualche forma di azione.
Il primo capitolo di apertura al lavoro è dedicato a indagare lo specchio come strumento analitico che, attraverso il riflesso nitido e asettico nella performance “Performer/Audience/Mirror” (1975) di Dan Graham, ispira gli artisti e le persone a svolgere azioni performative volte a prendere coscienza di loro stessi e degli altri nello spazio. In questo capitolo, se alcuni artisti lo specchio svolge una funzione di scoperta e analisi, per altri esso è uno strumento profondamente introspettivo, di controllo e di interazione con il nostro riflesso percepito come un “altro” a cui rivolgersi.
Nel secondo capitolo si procede ulteriormente all’analisi dell’immagine riflessa nella sua accezione di immagine effimera e sfuggente che, come tale, rende lo specchio un oggetto senza memoria rappresentativa. Nel panorama artistico contemporaneo, l’esempio degli ambienti-specchio descrive un’azione artistica che si realizza nell’ambiente che subisce il riflesso di sé stesso, espandendosi all’infinito. L’ambiente riflette immutabilmente sé stesso o ossessioni dell’artista, anche quando nessuno è presente al suo interno per farvi esperienza. Con l’esempio di Michelangelo Pistoletto nella serie “Divisione e moltiplicazione dello specchio” (‘73-‘76) nasce la consapevolezza che l’assenza della memoria dello specchio è data non solo dalla sua natura di medium incapace di trattenere l’immagine («il presente che solo gli scorre davanti»), ma anche dall’impossibilità di riflettere sé stesso. Dividendo però lo specchio in due parti e spostando progressivamente le due metà, l'immagine dello specchio si moltiplica. Questo fenomeno è alla base di una serie di opere e attività dell'artista nelle quali il principio della suddivisione si manifesta come fondamento universale di ogni sviluppo organico. Da questa consapevolezza si procede verso un primo tentativo di imprimere la memoria nello specchio, attraverso un’azione performativa di rottura dello stesso o l’inserimento di un’immagine dipinta.
Il capitolo che conclude il lavoro è dedicato a indagare lo specchio come oggetto che è capace di rappresentare, di avere memoria. Tale capacità è resa, nel caso di Anish Kapoor, attraverso le caratteristiche sculture-specchio dotano lo specchio di una capacità di rielaborazione del mondo. Infine, la fotografia è stata inserita in questo capitolo come mezzo che, attraverso la cattura dell’immagine sotto gli esempi di Vivian Maier, Robert Smithson e Seokmin Ko, dota lo specchio di capacità narrativa.