Abstract:
Il presente studio costituisce un tentativo di mappatura storico - critica delle linee di sviluppo dell’AI Art in rapporto alle teorie dell’immagine operativa e degli screen studies. La riflessione sulla contemporaneità si concentra su sei casi studio paradigmatici: Harold Cohen, il collettivo Obvious, Mario Klingemann, Trevor Paglen, Pierre Huyghe e Ian Cheng. Sei azioni e relazioni con la macchina dissimili tra loro tese a esplorare l’AI medium e le sue possibilità di generazione semi-autonoma. Dalla serie di ritratti della ‘Famille de Belamy’, al flusso di coscienza per immagini dell’AI Passersby I, passando per i mondi virtuali e le immagini neurali, si tracciano sei diverse declinazioni dell’autonomia macchinica e dell’AI Art come medium artistico e meta-artistico. L’avvento dell’architettura delle GANs (Generative Adversarial Networks) nel 2014 e l’implementazione dei sistemi di apprendimento automatico (machine learning e deep learning) hanno consentito alle macchine di raggiungere un livello avanzato di semi autonomia nel riconoscimento vocale, delle immagini, della scrittura e nella generazione artistica. L’intelligenza artificiale, utilizzata all’interno del processo creativo, diviene un mezzo di espressione. La tesi indaga dunque l’AI come medium artistico. Per l’artista – programmatore l’artefatto esiste sotto forma di regole, modelli e schemi astratti che, tradotti in linguaggio binario, divengono le linee guida per la sua generazione da parte della macchina. L’algoritmo è così sia linguaggio di programmazione sia di espressione creativa. La bellezza risiede nel codice, nella matrice matematica da cui scaturisce l’artefatto: creare, pensare e programmare sono tutte azioni sinonimiche.