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Secondo una recente pubblicazione dell’Agenzia Europea dell’Ambiente (EEA), il prossimo decennio sarà cruciale per contrastare la crisi climatica e proteggere l’ambiente. È evidente che non è più rinviabile l’adozione di nuove strategie di crescita che prevedano il taglio netto delle emissioni. L’utilizzo delle risorse, nonchè le politiche economiche, sociali e ambientali dovranno coesistere in un modello di sviluppo sostenibile. Non a caso il tema della tutela delle risorse idriche figura in due dei 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile contenuti nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite. Basti pensare che secondo l’ultimo report del Joint Research Centre (JRC) della Commissione Europea, l’inquinamento chimico delle acque viene definito come uno dei principali problemi ambientali nel mondo. Sempre secondo il JRC, nel mondo ci sono oltre 131 milioni di sostanze chimiche registrate, ma solo 387.150 sono in qualche modo regolate nei mercati internazionali (CAS, 2017). Alcune sostanze sono definite per le loro caratteristiche di persistenza, bioaccumulo e tossicità (PBT). Queste sostanze, una volta immesse nell’ambiente acquatico, possono persistere anche per molti decenni, rappresentando quindi un rischio reale e significativo per la salute umana, duraturo nel tempo anche nel caso in cui queste siano state eliminate nei cicli produttivi o ne siano state ridotte le immissioni nell’ambiente. La presenza prolungata di molteplici sostanze negli ambienti acquatici, anche a basse concentrazioni, attraverso la complessità delle relazioni causali tra inquinamento chimico ed effetti ecologici, può determinare quello che viene definito un “effetto cocktail”. In Europa, la Direttiva Quadro Acque prevede il monitoraggio da parte degli Stati membri di 45 sostanze definite “prioritarie in materia di acqua”. Inoltre, la continua e rapida evoluzione tecnologica ha portato anche all’individuazione di contaminanti cosiddetti emergenti, per i quali gli effetti potenzialmente dannosi per l’ambiente e per la salute umana non sono ancora stati approfonditi e studiati a sufficienza.
Con l’obiettivo di migliorare la conoscenza degli effetti diretti ed indiretti delle attività antropogeniche sulla risorsa acqua, il presente studio è stato condotto sull’Adige, il secondo fiume più lungo d'Italia. L’attenzione è stata posta sul medio e basso corso, in quanto sono i tratti meno studiati da questo punto di vista. I principali fattori di stress nel bacino dell’Adige sono rappresentati dallo scioglimento dei ghiacciai, dagli impianti di produzione di energia idroelettrica, dalle attività turistiche ed agronomiche. Questo lavoro vuole dare un contributo alla conoscenza dello stato chimico relativamente a diverse tipologie di sostanze riscontrate in campioni di matrici, sia abiotiche che biotiche (acqua, sedimenti, terreni golenali e pesce), raccolti durante numerose campagne condotte tra il 2018 e il 2020. Sono stati ricercati circa un centinaio di microinquinanti organici, riscontando la presenza di idrocarburi policiclici aromatici, di prodotti per la cura personale (filtri UV e fragranze), di ritardanti di fiamma (bromurati e fosforati) in tutte le matrici analizzate. E proprio allo scopo di valutare eventuali effetti sinergici, sono stati condotti dei test ecotossicologici. Infine, riscontrata la presenza di alcuni ritardanti di fiamma “emergenti” nei campioni d’acqua, per questi composti sono stati condotti studi di uptake in piante di mais, al fine di valutarne l’eventuale trasferimento alla catena alimentare. Il mais, infatti, è una coltura molto diffusa nei terreni della bassa pianura Padana che vengono irrigati con l’acqua del fiume Adige. |
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