Abstract:
Nelle campagne di sensibilizzazione focalizzate sui temi delle migrazioni internazionali e sulla questione dei rifugiati, si riscontra come le immagini più comuni che vengono proposte alla società ritraggono donne e bambini come soggetti principali di una narrazione mirata a presentarli come gli attori più vulnerabili durante il processo migratorio. Lo scopo di questa ricerca è esattamente quello di proporre una visione critica del concetto di vulnerabilità e di come questa, seppur abbia rappresentato lo strumento fondamentale per il riconoscimento delle esperienze delle donne migranti nell’ambito dell’asilo, abbia comportato una visione generalizzata delle donne come un gruppo omogeneo e vittime di una cultura oppressiva e per questo incapaci di maturare una coscienza dei loro diritti.
La centralità del concetto di vulnerabilità personale delle richiedenti asilo è stata riscontrata anche nello studio delle sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, la quale ha utilizzato questo parametro come sostentamento nelle sue sentenze ritendendo che donne che possedevano un buon grado di istruzione o che avevano alle spalle un sostentamento economico non fossero a rischio di tortura, trattamenti inumani e degradanti non riscontrando quindi una violazione dell’art.3 della Convenzione. Questo tipo di sentenza, basata su una condizione personale va a discapito di quella che si ritiene essere la vera valutazione della vulnerabilità delle donne richiedenti asilo: una condizione che non è dipesa da caratteristiche individuali, ma che deriva da un sistema di discriminazione e ineguaglianza dalla quale deve essere protetta non grazie alla sua resilienza, ma attraverso un giudizio sulla capacità dello stato di proteggere.