Abstract:
Se oggi le xilografie ukiyoe sono riconosciute per il loro valore artistico, non è possibile ignorare il ruolo che ebbero i loro colori nel suscitare fascinazione nei loro confronti, primo fra tutti il blu. Già a partire dalla seconda metà dell’Ottocento uno degli aspetti che colpì i primi collezionisti e studiosi europei di stampe giapponesi furono le brillanti tonalità di blu che caratterizzavano le opere di molti artisti del periodo Edo, primi fra tutti Katsushika Hokusai e Utagawa Hiroshige. L’ammirazione per queste qualità cromatiche fu tale che essi denominarono tale colore “blu di Hiroshige”, esaltandone l’unicità e la peculiarità tutta giapponese, ma ignorandone la vera natura: esso altro non era, in realtà, che il primo pigmento sintetico della storia, creato in Germania nel 1704, ovvero il blu di Prussia (bero ai ベロ藍). Ma non si trattava certo dell’unico blu presente nella palette delle xilografie policrome giapponesi, perché altri due erano i pigmenti blu tradizionali utilizzati prima della sua introduzione in Giappone: l’indaco (ai, 藍) e il blu di commelina (tsuyukusa ao, 露草青).
Obiettivo di questa tesi è delineare quali fossero pigmenti blu utilizzati nella produzione di stampe ukiyoe, sia quelli tradizionali giapponesi che il blu di Prussia giunto dall’Europa, focalizzando l’attenzione sui procedimenti adoperati per produrli e cercando di definirne le proprietà ed eventuali difetti riscontrabili nel loro impiego. Si tenta quindi di capire quale vantaggio abbia rappresentato, per gli artisti che si occupavano della produzione delle xilografie policrome, proprio l’introduzione del blu di Prussia, e se esso si sia rivelato preferibile, e per quali motivazioni, ai coloranti autoctoni. Viene quindi proposta una cronologia della sua importazione in Giappone e i canali mediante cui questa avvenne, fino alla sua affermazione indiscussa a partire degli anni ’30 del XIX secolo. In tale analisi un ruolo importante è ricoperto dalle stampe aizurie, il cui successo è strettamente legato proprio a quello di quest’ultimo pigmento. L’intento infatti è quello di definire i fattori che determinarono la popolarità di tale colore e quali elementi di innovazione ciò comportò, oltre a indagare se la sua fortuna debba essere ricollegata a un clima culturale favorevole che seppe sfruttarne le potenzialità cromatiche. Infine ulteriore motivo di interesse è stabilire se, con l’introduzione nel processo di stampa del blu di Prussia, gli altri pigmenti blu tradizionali siano caduti in disuso oppure abbiano continuato ad essere adoperati.
Quello che questo lavoro vuole far emergere sono le tecniche di produzione e impiego dei pigmenti blu caratteristici delle xilografie policrome giapponesi, e inoltre desidera dare una visione d’insieme che dimostri come il colore blu sia stato un protagonista fondamentale nell’evoluzione delle stampe ukiyoe, in particolare considerando l’impatto che ebbero le aizurie nel panorama artistico dell’ultimo periodo Edo e nello sviluppo del filone paesaggistico, di cui Hiroshige e Hokusai furono due interpreti.