Abstract:
Il Giappone è comunemente identificato come un paese antimilitarista. Il paese ha, infatti, sin dal secondo dopoguerra e durante la Guerra Fredda, ridotto al minimo la sua partecipazione militare nel mondo. Tuttavia, la fine della Guerra Fredda segna un momento di cambiamento nelle politiche di sicurezza del Giappone che si fanno più assertive. L’entità di questo cambiamento è –però- poco chiara. Dal momento che le missioni di pace costituiscono il principale teatro d’azione per le forze di autodifesa all’estero, e sono quindi uno strumento per promuovere interventi militari giapponesi a livello internazionale, vengono usate in questa tesi per giudicare il cambiamento della linea politica giapponese. Al tal fine, sono state prese in analisi le trascrizioni parlamentari riguardanti la partecipazione delle forze di autodifesa due missioni di pace, quella in Cambogia (UNTAC) del 1992-1993 e quella in Sud Sudan, in corso dal 2011. Tramite queste trascrizioni è chiaro che la possibilità di far partecipare le forze di autodifesa all’estero è stata accettata dalla maggioranza dell’élite politica giapponese. Infatti, nel frangente della missione in Sud Sudan, non si contesta l’invio delle unità militari per se, ma le modalità d’intervento di quest’ultime. Anche il sostegno dell’opinione pubblica risulta maggiore. Si può concludere che la pratica della missioni di pace è stata accettata in Giappone, sebbene i campi d’azione delle forze di autodifesa rimangano limitati. Se quindi da una parte è possibile parlare di una politica estera più aggressiva, costrizioni normative rimangono in atto rendendo questo cambiamento incrementale più che rivoluzionario.