Su Leonardo Corona, pittore veneziano poco noto eppure dotato di un talento straordinario, esisteva fino ad oggi un unico contributo specifico, ormai piuttosto datato (Eugenio Manzato, « Leonardo Corona da Murano », Arte veneta, XXIV (1970), pp. 128-150), in cui si tentava di ricostruire il catalogo delle opere nonché il percorso artistico del pittore. Nessuna ricerca scientifica né documentaria era mai stata condotta, e tanto pera fare un esempio ci si accontentava dei racconti di Ridolfi quanto alla vicenda biografica. Grazie alla scoperta di numerosi documenti inediti che permettono di ricostruire la "vera vita" di Leonardo Corona, il profilo di questo pittore acquista oggi una fisionomia ben diversa. Figlio di Michele, miniaturista, egli nasce nel 1552 e muore nel 1596. Contrariamente a quanto sostenuto da Rifolfi che spostava in avanti la data di nascita e morte di quasi un decennio, Leonardo si forma quando i più grandi maestri del Rinascimento veneziano sono ancora attivi. Non a caso nel corso di tutta la sua carriera, egli non mancherà mai di riconoscere il debito particolarissimo che ha nei confronti di Tiziano e Tintoretto specialmente. A dispetto della celebre occasione che lo vuole tra gli artisti chiamati a ridecorare la sala del Maggior Consiglio dopo gli incendi del 1574 e del 1577, Leonardo debutta probabilmente nell'atelier di un copista e insieme a molti altri anonimi pittori si dedica all'esecuzione di "copie dei quadri di buoni maestri" da smerciare sul mercato d'Oltralpe (Ridolfi, Le Maraviglie, cit.). In principio della sua carriera inoltre, Leonardo lavora essenzialmente in terra ferma e di preferenza per chiese e conventi cappuccini che sembrano apprezzare particolarmente la sua opera. Ma non sarebbe stato possibile interessarsi in maniera esclusiva all'opera di Corona. I dipinti di Leonardo si inseriscono in contesti di cui sapevamo ben poco e che è stato necessario indagare a fondo per poter rispettare una delle caratteristiche più affascinanti dei cantieri veneziani di fine secolo: lo "spirito corale" che deve riferirsi tanto al numero di artisti (e di arti) chiamati a partecipare alle imprese decorative, quanto al numero dei committenti e di conseguenza alla pluralità di voci. Scopriamo così che Leonardo Corona approda probabilmente a San Zulian grazie alle conoscenze personali (sue e della sua famiglia) nell'ambito dei miniaturisti e dei tipografi. La chiesa, completamente ricostruita a partire dal 1553, vine ridecorata da una vasta équipe d'artisti, di cui Leonardo farà parte. A occupare la carica di procuratori di chiesa con il compito preciso di intervenire direttamente nella gestione degli "affari artistici" della parrocchia, ci sono infatti molti celebri stampatori (Marchio Sessa, Tommaso Giunti, etc.). Quanto alla Scuola del Santissimo Sacramento, uno spoglio integrale del "Registro di cassa" per gli anni 1502-1600 e la lettura approfondita della Mariegola permettono di stabilire che la confraternita accoglieva un numero esorbitante di cittadini di origine bergamasca e che la cappella viene ridecorata a due riprese, e nel lasso di appena un ventennio (verso la metà degli anni Sessanta e tra la fine degli anni Settanta e l'inizio del decennio successivo), riproponendo praticamente lo stesso programma decorativo. Le imprese artistiche in chiesa proseguono nel corso degli anni Ottanta e a dirigerle è probabilmente Gerolamo Vignola, una figura di mecenate molto particolare la cui personalità e le cui frequentazioni sono state ricostruite nel dettaglio. Fiancheggiando il pievano e il capitolo di chiesa prima e destinando in seguito un lascito di 1000 ducati nel suo testamento perché si rifabbricasse il soffitto della chiesa, Vignola eredita il ruolo che era stato un tempo del celebre medico di origini ravennati Tommaso Rangone. La scelta di un approccio metodologico interessato a indagare tutto ciò che gravita "intorno a" Corona, obbliga lo studioso ad interessarsi innanzitutto a quei luoghi i cui fondi d'archivio sembrano meglio forniti. Lo studio di alcune imprese decorative ancorate al lustro 1590-1595 permette inoltre di fare luce su alcuni casi esemplari. A Santo Stefano ad esempio Leonardo Corona esegue una pala d'altare per la scuola dei Centurati raffigurante la Madonna della Cintura con i Santi Agostino, Monica, Nicola da Tolentino, Stefano e Guglielmo di Malavalle. Il pittore realizza ugualmente per lo stesso luogo un grande monocromo su tavola, una sorta di abbozzo della pala, che costituisce l'unica testimonianza certa dell'attività grafica di Corona. Questo oggetto praticamente unico nel suo genere rappresenta con ogni probabilità un decoro provvisorio realizzato dal pittore con l'obiettivo di far pazientare il committente senza incorrere in guai giudiziari nell'attesa di consegnargli l'opera definitiva. A Santa Maria Formosa si svela l'identità di uno dei rari committenti privati di Leonardo Corona: Marco di Nicolò Querini. Per il suo altare dedicato al Crocifisso, Marco commissiona a Corona una bella Crocifissione all'insegna di una pietas assoluta. Il raffronto con il dipinto di Palma il Giovane eseguito per l'altare di Zuan Francesco Querini-Stampalia (e anche questa è una scoperta!) è in tal senso molto istruttivo: laddove Palma su indicazione del suo committente scegli di raffigurare Zuan Francesco nelle vesti del santo eponimo (San Francesco d'Assisi, Corona opta per un'immagine in un certo senso "anonima" che ha come scopo esclusivo quello di garantire la salvezza dell'anima del committente, dei suo avi e dei suoi discendenti. A San Bartolomeo Leonardo lavora ancora per una confraternita di devozione: la scuola di San Mattia. Il pagamento di un acconto versato al pittore nel settembre del 1595 e la riscossione del saldo a opera del figlio di Corona qualche mese di distanza dal decesso del pittore, permette di stabilire in maniera inequivocabile che la pala con San Mattia in cammino è una delle ultime opere di Leonardo. La storia della confraternita consente inoltre di chiarire la scelta iconografica di Corona che raffigura come si è già accennato un San Mattia in cammino - e il riferimento al prototipo di Tiziano con il San Giacomo in cammino della chiesa di San Lio è assolutamente volontario. Il viaggio di Mattia potrebbe evocare quello della scuola, espulsa dalla chiesa per i contrasti insorti a partire dagli anni Ottanta con il clero di San Bartolomeo e poi riammessa in parrocchia contro la promessa di riedificare un nuovo e "nobile" altare.
Malgré son indéniable talent, le peintre vénitien Leonardo Corona est négligé : la seule étude systématique qui lui ait été consacrée remonte à une quarantaine d’années (Eugenio Manzato, «Leonardo Corona da Murano», Arte veneta, XXIV, 1970, p. 128-150). Grâce aux nombreux documents inédits que nous avons découverts dans les archives vénitiennes, nous sommes parvenue à reconstituer au moins en partie sa «vraie vie», qui se révèle très différente de ce qu’on pensait jusqu’à présent: contrairement à ce qu’écrivait l’historiographe Ridolfi, qui retardait d'une décennie sa vie (Le Maraviglie dell'arte, Venise, 1648), Corona est né en 1552, d’un père miniaturiste, et mort en 1596. Sa formation est donc à situer vers 1565, à un moment où les grands maître de la Renaissance vénitienne sont encore actifs, ce qui explique que, tout au long de sa carrière, il n’ait jamais manqué de reconnaître sa dette, notamment à l’égard de Titien et de Tintoret. S'il figure au nombre des artistes qui sont chargés de décorer la salle du Grand Conseil au Palais des Doges après les incendies de 1574 et de 1577, c’est vraisemblablement parce qu’il a auparavant travaillé dans les ateliers de copistes qui approvisionnaient en «copie dei quadri di buoni maestri» (Ridolfi, Le Maraviglie, cit.) le marché artistique d’Europe du nord. Quelques commandes sur la Terre Ferme caractérisent également ses premières années d’activité. Il semble d’ailleurs que les capucins l’aient beaucoup apprécié. L’exploration des fonds d’archives nous a permis de reconstituer le contexte social bien particulier dans lequel s’insère la production de Corona. L’une des caractéristiques les plus fascinantes des chantiers vénitiens de la fin du XVIe siècle est en effet leur «esprit choral»: les intervenants étaient toujours très nombreux, tant du côté des commanditaires que du côté des artistes. Nous avons ainsi découvert que c’est probablement grâce à ses relations avec le milieu des miniaturistes et des libraires que Corona est admis dans la vaste équipe d’artistes qui décore de fond en comble l’église de San Zulian, entièrement reconstruite à partir de 1553. Ce sont en effet des typographes vénitiens renommés (Marchio Sessa, Tommaso Giunti, etc.) qui occupent la charge de procurateurs de l’église et qui jouent donc un rôle décisif dans la gestion de ses «affaires artistiques». Quant à l’une des confréries les plus importantes de la paroisse, la Scuola del Santissimo Sacramento, un dépouillement exhaustif de son «Registro di cassa» de 1502 à 1600 et une lecture approfondie de sa «Mariegola» nous ont permis d’établir qu’elle accueillait de nombreux citoyens d’origine bergamasque et que sa chapelle a été décorée deux fois ex novo à une quinzaine d’années de distance, mais avec un projet décoratif quasiment identique (une première fois autour de 1565, une seconde fois autour de 1580). Dans les années 1580, les travaux d’embellissement de l’église se poursuivent sous la direction d’un mécène bien particulier, le procurateur de l'église Gerolamo Vignola, dont nous retraçons en détail la personnalité et le réseau de relations. Côtoyant le «pievano» de l’époque et le chapitre de l’église, et prévoyant ensuite dans son testament de léguer 1000 ducats pour la réalisation du nouveau plafond de San Zulian, Gerolamo Vignola est le digne successeur du premier grand mécène de l’église, le célèbre médecin Tommaso Rangone, qui en avait financé la reconstruction. Notre choix d’une approche qui prenne systématiquement en considération l’entourage social de Corona nous a permis d’explorer les mécanismes de commande des décors religieux ainsi que le contexte propre à chaque commande. Les fonds d’archives les plus riches d’enseignements à cet égard sont ceux de Santa Maria Formosa et de San Bartolomeo. A Santa Maria Formosa, nous avons identifié l’un des très rares commanditaires individuels de Corona : pour son autel dédié au Crucifix, le patricien Marco di Nicolò Querini fait peindre par Corona une Crucifixion dont la religiosité sévère ressort par contraste avec la Déploration que Palma le Jeune réalise quelques années plus tard, dans la même église, pour un commanditaire dont nous avons également découvert l’identité : alors que Corona construit une image anonyme, qui se focalise exclusivement sur le salut de l’âme de Marco Querini, de ses ancêtres et de ses descendants, Palma insère un portrait bien individualisé du commanditaire, Giovan Francesco Querini-Stampalia, sous les traits de saint François d’Assise. A San Bartolomeo, Leonardo travaille une nouvelle fois pour une confrérie de dévotion : il peint un Saint Matthias en marche pour la scuola de saint Matthias. Deux documents nous ont permis d’établir que ce tableau d’autel constitue l’une des dernières oeuvres de Corona : le paiement d’un acompte de 30 ducats, versé au peintre en septembre 1595, est suivi d’un solde de 20 ducats, réglé à son fils Michele. Les archives nous ont également permis d’expliquer l’iconographie singulière de ce tableau d’autel: s’il montre Matthias cheminant comme un pèlerin (sur le modèle du Saint Jacques le Mineur que Titien avait peint pour l’église de San Lio), c’est selon toute vraisemblance en raison de l’histoire tourmentée de la scuola. On peut en effet conjecturer que le «pèlerinage» du saint se réfère au «voyage» de la confrérie elle-même: chassée de l’église en raison de nombreux conflits avec le clergé local, elle est à nouveau accueillie dans l’église contre la promesse d’édifier et de décorer à ses frais un nouvel autel. Enfin, nos recherches sur les oeuvres que Corona a exécutées dans les années 1590-1595 nous ont permis de mettre en lumière d’autres cas exemplaires. Par exemple, à Santo Stefano, Corona peint pour la confrérie des «Centurati» non seulement un tableau d’autel, mais aussi un grand monochrome sur bois, une sorte d’ébauche du tableau d’autel. Nous émettons l’hypothèse que cet objet, quasiment unique en son genre (et qui est d’ailleurs le seul témoignage certain que nous ayons conservé de son activité graphique), aurait constitué un décor provisoire: le peintre, débordé de travail, l’aurait réalisé dans l’urgence, en attendant d’avoir le temps d’exécuter le tableau définitif.