Abstract:
La filosofia di Dharmakīrti (540–600; o 600–660 d.C.), insieme con quella del suo predecessore Dignāga (480-540 d.C.), ha svolto un ruolo importante nel contesto delle teorie di logica buddhista nel subcontinente indiano. In particolare, la dottrina della 'transitorietà' di Dharmakīrti risulta cruciale nel suo sistema filosofico in quanto si sofferma su alcuni concetti chiave che, oltre ad essere innovativi rispetto alle tradizioni precedenti, richiedono tuttora uno studio approfondito. Uno di questi è il concetto di arthakriyā, composto sanscrito tradotto e interpretato nella tradizione degli studi con più significati e diverse sfumature: 'azione intenzionale', 'efficienza causale', 'realizzazione di uno scopo', 'operazione efficiente'.1 Si vuole, nella presente dissertazione, delineare un quadro introduttivo per lo studio dell'apparato epistemologico di Dharmakīrti, concentrandosi, in un secondo momento, nell'analisi del concetto di arthakriyā, la sua origine e la sua incidenza nella formulazione del suo pensiero. Si prenderanno in considerazione le opere principali di Dharmakīrti in cui risulti il termine arthakriyā e la sua interpretazione nella letteratura commentariale a lui postuma. Il presente studio vuole soffermarsi, grazie all'analisi del concetto di arthakriyā nel contesto tanto epistemologico quanto linguistico, sul legame indissolubile tra la teoria del linguaggio e una teoria della conoscenza. Ciò sarò reso possibile, otre allo studio di fonti primarie, anche con l'ausilio di studi comparati come le teorie semiotiche e del linguaggio formulate nel contesto della produzione scientifica occidentale. Si cercherà di fornire, in conclusione, un'ipotesi interpretativa sul portato semantico di arthakriyā, su come esso funga da snodo cruciale da cui srotolare, partendo dal segno linguistico, la questione sull'attribuzione del significato e la rappresentazione della realtà.