Abstract:
La conquista dei territori dello Stato della Chiesa da parte del governo piemontese inasprì le tensioni con la Santa Sede. Il pontefice si dimostrò irremovibile nel respingere il nuovo stato di fatto e fu altrettanto inconciliabile sull’ipotesi di consegnare Roma allo Stato italiano, rinunciando così al potere temporale. Il timore di internazionalizzare una questione che il governo piemontese desiderava risolvere senza valersi del diritto internazionale, suggerì all’Italia un atteggiamento circospetto. Tuttavia, constatata l’ostinata intransigenza di Pio IX, contrario a qualsiasi accordo che prevedesse l’implicito riconoscimento del nuovo stato delle cose, l’Italia accelerò i tempi per risolvere il problema romano. Il governo italiano, esperito un ultimo infruttuoso tentativo diplomatico, ruppe gli indugi e conquistò Roma con la forza delle armi. Pio IX rifiutò sdegnato qualsiasi compromesso respingendo anche l’apparentemente favorevole legge delle guarentigie, rinchiudendosi nei palazzi apostolici e dichiarandosi prigioniero dell’Italia. Il contrasto, ben lungi dal limitarsi ai confini nazionali, ebbe non poche conseguenze a livello internazionale. Da parte dello Stato, il periodo legislativo favorevole alla Chiesa terminò molto presto. La legislazione ecclesiastica, al contrario, ricalcò quella degli Stati italiani preunitari, in virtù di una plurisecolare tradizione giurisdizionalista. Da parte della Chiesa, la strategia vaticana fu largamente incentrata sull’astensionismo. Nata in base a valutazioni di convenienza e opportunità politica, la strategia del non expedit non fu uniforme del corso dei decenni, trasformandosi e adattandosi di volta in volta a seconda delle circostanze. Questa condotta, però, provocò confusione nel mondo cattolico. Priva di una chiara e ben delineata linea politica, la strategia vaticana si risolse in un sostanziale fallimento. Al contempo, qualsiasi tentativo di partecipare alla vita diplomatica internazionale venne puntualmente contrastato dall’Italia, timorosa che un’opportunità del genere avrebbe offerto al Vaticano la possibilità di internazionalizzare la vicenda romana. Di conseguenza, i rapporti tra Stato e Chiesa non registrano alcun reale progresso fino allo scoppio della prima guerra mondiale. Nel pieno del conflitto bellico il nuovo pontefice si dimostrò propenso ad un importante cambio di strategia. Dopo aver tentato senza successo di rilanciare l’azione della Santa Sede proponendosi come mediatore tra i paesi in guerra, Benedetto XV autorizzò le gerarchie ecclesiastiche ad avviare contatti diretti con il governo italiano. Terminato il conflitto, una bozza di accordo presentata dal Vaticano e accettata dal governo italiano venne respinta dal re. Successivamente, i turbolenti anni che investirono la politica e la società italiana portarono ad uno stallo delle trattative. In ogni caso, la nuova linea tracciata dalla Santa Sede era ormai avviata. Accantonata la strategia dell’astensionismo, il nuovo corso portò alla creazione di un partito cattolico che alle tornate elettorali del 1919 raccolse un grande successo. Nel frattempo, l’ascesa del fascismo portò a profondi mutamenti nei rapporti tra Stato e Chiesa. Spinto da precisi calcoli politici, Mussolini si dimostrò disponibile ad accogliere molte delle richieste della Chiesa, se ciò avesse permesso di arrivare ad uno storico accordo che avrebbe chiuso il pluridecennale dissidio. Dopo diversi anni di negoziazioni, non prive di momenti di grande tensione, l’accordo venne raggiunto con la firma dei Patti del Laterano. Lungi dal rappresentare un definitivo punto di arrivo nel secolare rapporto tra Stato e Chiesa, gli Accordi Lateranensi ebbero l’innegabile pregio di regolarizzare la posizione della Chiesa in Italia e di portare un indubbio beneficio nella coscienza di milioni di cattolici, liberi di poter finalmente manifestare l’amor di patria senza dover rinnegare la propria fede.