Abstract:
È quello della rap-presentazione, dell’esser-rappresentato il destino dell’essente? Ha ragione Heidegger nel porre la questione della rappresentatezza (Vor-ge-stellt-heit) dell’ente come la struttura stessa della civiltà occidentale contemporanea? L’ente, ciò-che-è, è destinato a chiudersi nel cerchio dell’og-gettuale? Essere significa esser-oggetto? È la lettura heideggeriana della storia della metafisica, come oblio della domanda sul senso dell’essere rispetto all’ente, ciò che oggi è maggiormente degno di essere problematizzato in senso filosofico?
Non è forse lo stesso termine “onto-teologia” una delle prime e massime manifestazioni di quel nichilismo che per Emanuele Severino è l’inconscio dell’Occidente? Non è cioè già la declinazione teologica dell’onto-logia una prima grande manifestazione di quell’inconscio? Nella parte centrale e finale della nostra indagine ci impegneremo a mostrare se e come, tra l’altro, alla luce della prospettiva speculativa severiniana, le ateologie di Schopenhauer e Nietzsche costituiscano altrettante forme essenziali di nichilismo; se e in quale forma esse si possano valutare nel senso di negazioni inefficaci di quanto ancora viene designato con Dio. Si tratta, in altri termini, di valutare se il problema onto-metafisico faccia equazione con quello onto-metafisico-teologico; di valutare se la seconda declinazione sia necessaria e come si ponga Severino a riguardo di tale equazione, stante la sua più volte ripetuta “opzione” ateistica.