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La prosecuzione dell’attività come strumento per risolvere lo stato di crisi dell’imprenditore in difficoltà nel corso degli anni ha assunto un interesse crescente nell’orientamento del legislatore, mostrando sempre più la preferenza verso soluzioni in cui l’attività continua il suo esercizio. In particolare, quest’affermazione trova conferma con l’introduzione dell’articolo 186bis con il decreto legge del 22 giugno 2012, n. 83, dove viene prevista un’apposita disciplina di favore per il ricorrente che presenti una domanda di ammissione al concordato e un piano, che prevedano la continuazione dell’attività. Laddove siano rispettati i requisiti previsti dall’articolo, il concordato prenderà il nome di “concordato con continuità aziendale” e il richiedente potrà beneficiare di quanto previsto dall’articolo 186bis. Tuttavia, nella dottrina e giurisprudenza, l’introduzione di questa norma ha sollevato una duplice interpretazione, dividendosi tra coloro che ammettono solamente la continuità diretta, e coloro che ammettono sia il caso diretto sia quello indiretto.
I primi affermano che per poter beneficiare di quanto previsto dall’articolo 186bis è necessario che l’imprenditore proponente si prenda carico, in prima persona, della gestione dell’attività nella fase successiva all’omologa del concordato. La gestione del ricorrente secondo questa visione, anche laddove si prevede nel piano la cessione o il trasferimento, è necessaria anche solo per un limitato periodo di tempo, negando la riconducibilità a questo istituto tutte le soluzioni che non prevedono la figura del debitore nella fase successiva all’omologa.
Questa prima interpretazione si basa sul criterio di soggettività della procedura dove, a seconda di chi si occuperà della gestione, il concordato si potrà definire in continuità o meno, e in particolare laddove l’attività venga proseguita da terzi senza una gestione del debitore successiva all’omologa, qualificherà il concordato con natura liquidatoria.
La seconda linea di pensiero ritiene che la continuità si debba valutare oggettivamente, a prescindere dal soggetto che si occupa della gestione nella fase successiva all’omologa. Quello che è importante è che l’attività prosegua in qualunque modo, e di conseguenza, anche la continuità dell’attività in capo ad un terzo soggetto è ammissibile alla fattispecie di concordato con continuità.
Ammettere o meno la cosiddetta continuità indiretta significa poter applicare o meno la disciplina prevista dall’articolo 186bis, e in particolare se questa si ritiene non ammissibile, le norme che si applicheranno e gli interessi che si intende raggiungere saranno diversi. |
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