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La tesi esamina le relazioni di viaggio stese dal chierico bellunese Alberto Vimina (1603-1667) durante i viaggi intrapresi alla metà del Seicento per conto della Repubblica di Venezia, che lo portarono nei territori delle attuali Polonia, Ucraina, Lituania, Russia e Svezia. Lo scopo di Vimina, inviato presso le corti del Nord negli anni iniziali della Guerra di Candia, che contrapponeva Venezia all’impero turco nel tentativo ottomano di conquistare l’isola di Creta, era quello di convincere le altre potenze cristiane confinanti con i Turchi ad attaccarli, aprendo altrettanti fronti dai Balcani al Mar Nero per alleggerire la pressione turca a Creta. Vimina non riuscì nel suo intento diplomatico, ma i suoi viaggi gli consentirono di scoprire e di raccontare orizzonti geografici e organizzazioni sociali allora quasi sconosciuti a Venezia e nel resto d’Italia. Vimina stese quattro relazioni di viaggio delle missioni compiute in Ucraina nel 1650, in Svezia nel 1653 e tra Lituania e Russia nel 1655, testi che furono pubblicati solo dopo la sua morte, nel 1671. Nei suoi racconti Vimina offre una testimonianza di prima mano delle condizioni di vita nelle campagne e nelle città dei diversi stati che attraversa, con una particolare attenzione al paesaggio agrario, all’organizzazione militare o all’uso politico della religione. Altrettanto dettagliate – ed insolite per il suo tempo – sono le pagine che dedica al ruolo della donna, in particolare alla figura controversa ma affascinante della regina Cristina di Svezia, o al giudizio spesso critico sul ruolo sociale della nobiltà, o ancora al “diverso” o al “monstrum” sociale che scopre e racconta, come i pogrom antiebraici in Ucraina, la servitù della gleba in Russia o, cambiando registro, la vita dei Lapponi di cui descrive con stupore le condizioni di vita, che gli paiono estreme, senza trascurare particolari quali l’utilizzo degli sci o l’allevamento delle renne, oggetti e animali ovviamente mai visti. Ancora, altrettanto originale per la sua epoca è l’attenzione linguistica che Vimina dimostra, citando spesso termini di lingue che non conosce, offrendone non solo la traduzione ma anche spesso l’etimologia, così come dimostra di aver acquisito una sicura competenza relativamente all’apparentamento delle diverse lingue slave o germaniche. Altrettanto insolita ed interessante è l’attenzione che Vimina riserva agli interpreti con cui ha collaborato nei suoi viaggi, raccontandone il difficile ruolo, spesso incompreso o peggio disconosciuto e punito.
Attraverso questa serie di appunti è possibile comprendere, in conclusione, la filosofia del viaggio che Vimina è andato elaborando durante le sue missioni diplomatiche e poi, rientrato in patria, al momento della rilettura dell’esperienza maturata. In pratica, Vimina sviluppa ed offre al lettore l’idea che qualsiasi viaggio, al di là di ogni singola motivazione occasionale, è invece uno straordinario strumento di conoscenza e di soddisfazione della “curiosità” che egli individua come il motore che spinge ogni volta il viaggiatore a ripartire, nonostante la consapevolezza dei rischi, del costo e della fatica di ogni viaggio. |
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