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Questa tesi si propone di analizzare alcuni aspetti del fenomeno della scortesia linguistica, con particolare attenzione all’ambito della lingua giapponese.
L’attenzione finora prestata da molti studiosi (giapponesi e non) all’aspetto della politeness nella lingua giapponese, o, per meglio dire, alle sue realizzazioni a livello morfologico – sintattico (linguaggio onorifico, sue funzioni e sue dinamiche in primis), ha contribuito a confermare l’idea tradizionalmente diffusa ed affermata del giapponese come “lingua cortese” per eccellenza.
Ma ha davvero senso parlare di lingue “più cortesi” e “meno cortesi”? È la scortesia un’esigenza di tutte le lingue naturali? È possibile cioè evidenziare dei tratti di “universalità” in una tale dinamica linguistica complessa? Oppure un approccio singolo a ciascuna lingua è necessario? Ed in questo caso, il giapponese è una lingua particolare che non prevede realizzazioni della scortesia linguistica, se non in quantità ed intensità molto limitata (o comunque più limitata rispetto ad altre lingue, come le colorite lingue occidentali, italiano fra tutte), a causa di fattori socio-culturali specifici e unici alla realtà giapponese? Le peculiarità morfo-sintattiche della lingua giapponese, certamente diverse da quelle delle moderne lingue occidentali, determinano una differenza strutturale (ma anche di pensiero e interazione relazionale) significativa che ne fanno un’eccezione sulla quale non è possibile applicare teorie adottabili nello studio di altre lingue? In poche parole, non è possibile attuare un attacco linguistico in giapponese, “parlare con qualcuno […] più giù, molto più giù, con grande disprezzo” (come già faceva notare l’illustre Fosco Maraini)?
Questa tesi vuole esplorare questi orizzonti (socio)linguistici, e fare chiarezza, nei limiti del possibile, su concetti comunemente usati negli studi in ambiente anglofono come ad esempio (im)politeness, politeness relativa e non marcata, minus politeness, FTA (Face Threatening Act), con particolare riferimento all’ambito giapponese.
Ci si baserà in particolare sugli studi finora realizzati (prevalentemente in area anglofona, essendo quelli in area nipponica ancora numericamente limitati e spesso molto controversi) a partire da Brown e Levinson (1987), i fondatori della Politeness Theory attualmente al centro dell’attenzione degli studiosi del settore, sui cui principi si basa a sua volta la prima analisi dell’impoliteness proposta da Culpeper.
Come ricorda infatti, fra gli altri, Chiara Zamborlin (2004: 175) “Una ricerca sulla scortesia verbale […] non può prescindere dalla definizione del suo fenomeno opposto: la politeness, ovvero la cortesia linguistica”.
Si presenterà in particolare un approccio piuttosto innovativo adottato da Usami Mayumi in una serie di studi atti a integrare la molto criticata teoria di Brown e Levinson (1987), accogliendo e tentando di rispondere a tali voci contrarie e ampliando la visione della stessa per dimostrarne validità e, possibilmente, universalità (o per lo meno applicabilità anche al caso giapponese) |
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