Abstract:
In un’epoca in cui i fondamenti della religione islamica entrano nel dibattito pubblico si impone la necessità di restituire all’islam e al più ampio sapere religioso islamico la complessità e la profondità che lo caratterizzano. Stimolare letture differenti, consapevoli, rappresenta il primo passo verso un dialogo concreto ed efficace.
Questo lavoro intende proporre un altro prezioso tassello del vasto sapere religioso islamico riflettendo sui cosiddetti aḥādīth qudsiyya, messaggi di Dio riportati dal Profeta che non fanno parte del testo coranico ma del più ampio corpus di aḥādīth che compone la Tradizione del Profeta o Sunna.
Rappresentano un genere unico per la loro più alta natura di detti “divini” e la profondità del loro contenuto, per lo più spirituale ed etico, in cui Dio si esprime sull’essenza della fede e sui valori morali propri dell’uomo migliore, prima che del musulmano pio; con un linguaggio quasi intimo, materno, molto diverso da quello coranico. Per questo i “detti santi”, costituiscono accanto al Corano e al resto della Sunna autentiche fonti di insegnamento spirituale rivolto al cuore dell’uomo-credente.
Nel seguente lavoro verranno analizzati alcuni detti che esemplificano i contenuti più rappresentativi del corpus degli aḥādīth qudsiyya, attingendo a due note raccolte, una storica nella recente edizione commentata (al-Nafaḥāt al-Salafiyya -Sharḥ al-aḥādīth al-qudsiyya ʿalā al-Itḥāfāt al-Saniyya li-l-Munāwī ) e una contemporanea (al-Aḥādīth al-Qudsiyya) a sua volta corredata da commenti. In particolare i detti sono stati selezionati sulla base di tre nuclei tematici: raḥma e perdono come attributi divini per eccellenza; prossimità tra Dio e il credente; alcune virtù dell’uomo-credente. L’analisi darà spazio ai commenti presenti nelle due raccolte così da riportare parte delle riflessioni antiche e contemporanee intorno ad alcuni fra i detti santi più belli e significativi.