Abstract:
Nel XX secolo la difficoltà dei governi ad affrontare le violazioni dei diritti umani perpetrate dai regimi che avevano rovesciato, ha contribuito allo sviluppo di nuove forme di giustizia. La giustizia di transizione era perciò destinata a far fronte a crimini in paesi in transizione verso una democrazia o nell’immediato dopoguerra. In tale contesto i processi di Norimberga e Tokyo rappresentarono un primo passo verso lo sviluppo del diritto internazionale e condussero infine alla creazione della Corte Penale Internazionale, il cui Statuto di Roma entrò in vigore nel 2002. Fin dagli anni ’70 iniziative parallele ed in qualche misura alternative furono attivate per rimediare ai gravi crimini di massa, ne è un esempio la commissione del 1974 che in Uganda si riprometteva di indagare le numerose sparizioni avvenute durante la dittatura di Idi Amin Dada. Il destino di tale iniziativa fu infausto poiché il dittatore stesso istituì la commissione ed il tutto costituì una semplice operazione di facciata. Tuttavia essa fu di esempio per casi successivi. Nel 2005 il Segretario Generale dell’Onu Kofi Annan interverrà nel dibattito internazionale sulla giustizia di transizione provvedendo raccomandazioni e norme. L’organizzazione era stata da tempo accusata di promuovere modelli e soluzioni “taglia unica” ignorando peculiarità e bisogni di ciascun paese. La posizione Onu rispecchia la tendenza delle organizzazioni internazionali ad incoraggiare la giustizia “tradizionale” nelle sue manifestazioni retributive o penali quale primo strumento al quale ricorrere per affrontare gravi crimini. Ciò nondimeno le società ferite dai conflitti non sono sempre state in grado di gestire tali crisi in una maniera equa poiché spesso nei nuovi governi si vedevano ancora impiegati precedenti oppressori. Una soluzione fu trovata nello sviluppo di meccanismi restaurativi quale il truth-telling, di cui le truth commission o commissioni verità sono un esempio. La Commissione per la Verità e la Riconciliazione del Sud Africa (1995) divenne ben presto modello normativo per le commissioni che sarebbero seguite. L’impatto che tale istituzione ebbe sulla giustizia restaurativa fu così significativo che varrà la pena esaminare brevemente tale caso. La giustizia restaurativa ha però anche dei lati oscuri, in particolare è stata spesso accusata di scendere a patti con i criminali, vi sarà spazio anche per approfondire questo elemento controverso. Tuttavia il capitolo centrale ed il fulcro della tesi sarà dedicato alla Commissione per la Verità istituita “dal basso”, ossia dalla Ong Zochrot in Israele. Seguendo le orme di simili iniziative di successo, la commissione della Ong ha raccolto per oltre un anno testimonianze di fighters israeliani e di profughi palestinesi con lo scopo dichiarato di mettere sotto gli occhi di tutti la responsabilità israeliana nell’esodo forzato palestinese dal Negev, evento noto in arabo come Nakba o “catastrofe”. Sebbene solitamente le commissioni vengano create da stati appena costituiti, in questo caso si ha l’adozione di meccanismi di giustizia di transizione da parte di una società civile. Sarà pertanto interessante scoprire quali obiettivi è riuscita a realizzare e se ha dovuto gestire e superare ostacoli e limiti legati alla mancanza di potere politico e giuridico. Inoltre esaminerò la questione della memoria collettiva ed il suo utilizzo nell’ambito della giustizia di transizione per la quale rappresenta un tassello fondamentale. Le società traumatizzate, martoriate dal conflitto etnico, hanno bisogno di dare vita ad una memoria condivisa per combattere e prevenire future guerre civili. Ma quale tipo di narrativa si nasconde dietro al bisogno di esplorare la storia dell’altro? Si tratta, per dirla in parole povere, di una semplice ricerca di guarigione e perdono? Nella conclusione si cercherà di evidenziare il valore della commissione di Zochrot.