dc.contributor.advisor |
Ligi, Gianluca |
it_IT |
dc.contributor.author |
Fanchin, Stefano <1965> |
it_IT |
dc.date.accessioned |
2016-06-15 |
it_IT |
dc.date.accessioned |
2016-10-07T07:51:19Z |
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dc.date.available |
2016-10-07T07:51:19Z |
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dc.date.issued |
2016-06-28 |
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dc.identifier.uri |
http://hdl.handle.net/10579/8434 |
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dc.description.abstract |
Durante la condizione di malattia il concorso alla razionalità sociale subisce profonde trasformazioni a partire da un disorientamento semantico: molte strutture deputate ad accogliere il transito di persone malate adottano il nome e la morfologia apparente della casa, comunicando in questo modo un’intenzione di accoglienza, volta a riprodurre, per quanto possibile, una più familiare condizione originaria.
Si tratta pur sempre, tuttavia, di un carattere parziale, incompleto, destinato a perpetuare un evento all’origine previsto come transitorio, quantunque la residenza possa poi protrarsi anche per tempi molto lunghi; ne esce una rappresentazione non sempre fedele all’originale, frutto di compromessi, resistenze, privazioni.
Alcune dimore, come è il caso degli ospedali, tendono volutamente a sottolineare una situazione di forte contrasto, per meglio evidenziare il proprio ruolo di maggiore provvisorietà. Le comunità residenziali tendono invece alla ricerca di un equilibrio per armonizzare la compresenza di curanti ed ospiti.
La personalizzazione degli ambienti in queste case temporanee, in modo particolare quelle rivolte alla sofferenza mentale, si confronta inoltre continuamente con un dispositivo di controllo in grado di stabilirne la compatibilità globale con gli standard generali previsti per la tipologia del servizio, l’adesione a criteri formali inerenti la qualità, la sicurezza, il rispetto delle norme giuridiche in materia.
E’ dunque difettiva la comunità costituita nel luogo di cura. Questa mancanza, non risiede esclusivamente nella quantità del possesso, nella disponibilità di spazio, quanto nell’assenza stessa dell’abitare che fa di una residenza una vera casa.
I luoghi di cura sono cioè più propriamente soggiornati, non abitati. Estraneo è il personale, estraneo è l’ospite così definito proprio in contrapposizione al termine abitante.
Cionondimeno gli ospiti delle case di cura non rinunciano alla domesticazione di questi spazi dimostrando capacità di adattamento e volontà di appartenenza al mondo dei sani dal quale sembrano momentaneamente esclusi. |
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dc.language.iso |
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dc.publisher |
Università Ca' Foscari Venezia |
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dc.rights |
© Stefano Fanchin, 2016 |
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dc.title |
L'ordine delle cose: la sintassi degli oggetti nelle stanze della malattia.
Etnografia di Comunità Residenziali Psichiatriche dell'Alto Vicentino. |
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dc.title.alternative |
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dc.type |
Master's Degree Thesis |
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dc.degree.name |
Antropologia culturale, etnologia, etnolinguistica |
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dc.degree.level |
Laurea magistrale |
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dc.degree.grantor |
Dipartimento di Studi sull'Asia e sull'Africa Mediterranea |
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dc.description.academicyear |
2015/2016, sessione estiva |
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dc.rights.accessrights |
openAccess |
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dc.thesis.matricno |
845527 |
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dc.subject.miur |
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dc.description.note |
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dc.degree.discipline |
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dc.contributor.co-advisor |
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dc.date.embargoend |
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dc.provenance.upload |
Stefano Fanchin (845527@stud.unive.it), 2016-06-15 |
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dc.provenance.plagiarycheck |
Gianluca Ligi (ligi@unive.it), 2016-06-27 |
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