Abstract:
La transizione dell’economia cinese ebbe inizio nel 1978, quando il PCC diede avvio alla liberalizzazione economica introducendo una serie di misure nel settore agricolo e industriale. Riforme pragmatiche ed efficienti - caratterizzate da un approccio gradualista - che portarono all’accettazione della compartecipazione di Pechino al sistema globale, culminata nel 2001 con l'ingresso nell’Organizzazione Mondiale del Commercio (World Trade Organization, WTO). Negli ultimi trent'anni, il tasso di crescita medio annuo pari al 10% ha regalato alla Cina un nuovo dinamismo che le ha permesso di affermarsi come seconda economia mondiale nel 2010 e di togliere da situazioni di povertà circa 500 milioni di persone. Tuttavia, esiste un ampio consenso sul fatto che la crescita debba rallentare; prospettive - rinforzate anche dal preoccupante spettro della trappola del reddito medio - che stimano un tasso di crescita pari al 6,7% entro il 2016.
Il forte impatto della Grande recessione (2007), nonostante l'economia cinese abbia continuato a crescere - ma rischiando di cadere se fosse rallentata troppo - ha determinato la prima contrattura del commercio globale in trent'anni e il crollo delle esportazioni. Per contrastare gli effetti di un possibile deterioramento economico, nel 2008, le autorità cinesi intrapresero un massiccio piano di stimolo (ossia, investimenti) a sostengo di una politica monetaria più allentata e misure per promuovere un maggiore consumo interno a favore dell'allontanamento da un modello guidato dalle esportazioni. In Cina esiste perciò un senso comune Keynesiano che deriva dal fatto che il governo stia iniettando denaro nell'economia; il Paese sta giungendo al termine di una "crescita estensiva" indotta dall'incremento di manodopera e di capitale, che adesso deve muoversi verso una "crescita intensiva" spinta dal progresso delle competenze e delle tecnologie. A rendere difficile questo passaggio è anche lo straordinario tasso di crescita degli investimenti e il conseguente problema dell'eccesso di capacità produttiva. Valutarne la sostenibilità della crescita è difficile: la poca trasparenza dei dati statistici cinesi, l’opacità delle decisioni politiche e il funzionamento del settore finanziario presentano delle sfide socio-politiche che esigono nuove idee di sviluppo e devono essere risolte il prima possibile. In primo luogo, alle forze di mercato cinesi dovrebbe essere consentito un maggior ruolo nella riallocazione delle risorse, che conduca a una maggiore efficienza e a un minor intervento statale; il sistema fiscale dovrebbe essere ulteriormente riformato, in modo da favorire la sostenibilità della qualità dei servizi ambientali pubblici. Il primo passo verso i meccanismi di mercato è stato compiuto dalla PBOC che ha, recentemente, operato una svalutazione dello Yuan pari al 2%; svalutazione competitiva o deprezzamento pilotato? La mossa rimane assai confusa; in un contesto di scollamento tra mercato azionario - caratterizzato fa una forte presenza pubblica - e reale che domina il paese. L'ipotesi più ammissibile è quella che la Cina vorrebbe l'inclusione dello Yuan nel paniere di valute che compongono i DSP, in parte, per ragioni di prestigio e,in parte, per sostenere il settore finanziario nell'ottica di una politica di espansione globale. L'attuale leader cinese, Xi Jinping, progettando un sistema sempre più trasparente soggetto a procedure legali e combattendo istituzioni sempre più consolidate - come le aziende di Stato o la corruzione - sta attuando delle riforme della stessa portata di Deng Xiaoping. Questo procedimento porterà senz'altro a un periodo di mutamenti e incertezze; ma l'osservazione di alcuni dati fondamentali macroeconomici potrebbe aiutarci a prevedere il possibile andamento della crescita, identificando i vantaggi e le debolezze dell'economia cinese in modo da valutarne la capacità di resilienza a shock interni ed esterni.