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Questa tesi parte dalla volontà di analizzare la condizione delle banlieues parigine per tracciare un quadro più ampio dei motivi per cui si è arrivati alla loro costruzione; motivi che sono generatori di un'infelicità sociale che tocca indistintamente ogni luogo globale. Si è suddiviso il lavoro in tre capitoli: col primo si è sentita la necessità di partire da quell'eurocentrismo che ha permeato gran parte della storia mondiale per molti secoli, tanto da rendere indispensabile parlare di colonialismo e decolonizzazione, affrontati più che dal punto di vista storico da quello umano caratterizzato da una sopraffazione dei soggetti più deboli, secondo categorie culturali che possediamo dalla nascita e che sviluppiamo inconsapevoli nel corso della vita. Visto che gli individui che popolano le banlieues sono prevalentemente migranti provenienti dall'Africa settentrionale, contro i quali è in atto una sorta di islamofobia, il primo capitolo prosegue con l'affrontare la tematica della migrazione, che ha radici molto antiche e che nel corso del tempo ha mantenuto l'obiettivo primario della ricerca di migliori condizioni economiche. Si è sviluppato, perciò, qualche paragrafo sull'economia dei paesi arabi che spiega il perché del rigonfiamento delle banlieues. Diversi spunti sono dati dalla differenza tra campagna e città che danno ragione a chi, sin dalle epoche più antiche, considerava la campagna un luogo non ancora corrotto dal potere e dall'impoverimento ideale che l'individuo urbanizzato comincia presto a sviluppare, fino ad arrivare alle prime abitazioni tipiche pensate per i migranti, che tuttora rivelano le stesse caratteristiche di isolamento e privazione del passato. Per dare una chiave di lettura più ad ampio raggio, tuttavia, si è voluto rendere giustizia a tutta la documentazione analizzata per questa tesi, e quindi anche a quella che non riconosce alle banlieues parigine i termini, spesso abusati, di somiglianza ai ghetti o ad uno stile di vita che tende alla segregazione. Se ne spiegano le ragioni con qualche confronto, per esempio, con i ghetti americani e con le favelas brasiliane. La fine del capitolo in questione sviluppa la tematica della globalizzazione che ha favorito gli spostamenti umani (e non solo) e ha cambiato la geografia della circolazione migratoria e dello spazio; si è ritenuto interessante affrontare, quindi, anche le tematiche della diaspora e del transnazionalismo. Una simile "società delle differenze" ha portato all'introduzione di alcune tecniche con cui approcciarsi ai migranti, per es. la mediazione culturale.
Il secondo capitolo entra, quindi, nel nucleo di quell’infelicità sociale cui il titolo di questo elaborato accenna; si parla, dunque, degli scontri del 2005 in alcune periferie francesi e delle dinamiche, a volte erroneamente interpretate dai responsabili e dagli intellettuali chiamati ad esprimersi in merito, che hanno attribuito la colpa dell’accaduto a quella pericolosità naturale col quale si guarda ai migranti che vivono nelle banlieues. Pericolosità generata da stereotipi, pregiudizi e categorizzazioni culturali cui si è accennato qualche rigo fa. Ampio spazio si è cercato di dare al ruolo di giovani, che sono la maggiore espressione di una insoddisfazione che riguarda tutti gli aspetti della loro vita e che nelle forme di ribellione prova a farsi sentire da governi distratti e disinteressati. Per una visione più pratica del lavoro, si è accennato ad alcuni film che affrontano magnificamente il tema della banlieue, portandoci testimonianze di una realtà che l’informazione mediatica tende spesso a mistificare.
Per concludere, l’ultimo capitolo si sofferma sull’aspetto letterario della banlieue da parte di chi ci ha vissuto ed è poi riuscito a ricostruire la propria identità altrove. |
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