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In Messico, la violenza contro le donne è una questione di forte attualità, che fonda le sue radici nel sistema patriarcale e che rappresenta un problema di sicurezza interna molto dibattuto, specialmente quando essa porta al femminicidio, cioè alla morte delle vittime. Tale termine, dall’inglese femicide, è introdotto per la prima volta nel 1992 da Diana Russell, la quale ne ricostruisce la storia e lo connota politicamente, attribuendogli un significato che trascende il senso generico di “omicidio di donne”. Insieme a Jill Radford definisce il femicide l’uccisione misogina di donne per il fatto di essere donne. Successivamente, propone di estendere la definizione a tutte le forme di uccisioni sessiste nei confronti delle donne, abbracciando, così, diverse condotte, tutte caratterizzate dal fatto di avere come conseguenza diretta la morte della donna.
Dopo Russell, Marcela Lagarde continua a sviluppare tale categoria fino a elaborare un concetto nuovo e più ampio, quello di feminicidio, a indicare tutte quelle condizioni in cui la violenza è tale da provocare l’annientamento fisico o psicologico della personalità femminile.
Risulta evidente la necessità di tipizzare il reato di femminicidio quale violazione dei diritti umani delle donne, considerandolo un delitto autonomo, avente caratteristiche e specificità che lo differenziano da altri tipi di omicidi: l’esistenza di una violenza estrema, strutturale e sistematica contro questi soggetti, i loro corpi e la loro dignità, all’interno di un contesto in cui prevale una cultura machista, sessista e misogina che non solo le discrimina e nega loro qualsiasi diritto, ma nasconde, tollera e minimizza tali crimini, per di più nascosti da autorità corrotte, leggi ambigue o carenti di meccanismi che diano risultati concreti, come risulta in Messico.
Questo è particolarmente visibile a Ciudad Juárez, cittadina dello Stato di Chihuahua, a ridosso del confine con gli Stati Uniti, nota per le centinaia di ragazze che, dal 1993, vengono rapite e uccise. Due aspetti fondamentali caratterizzano i femminicidi di Juárez: la scomparsa di queste donne, con determinate caratteristiche fisiche, studentesse e lavoratrici delle fabbriche maquiladoras, e il successivo ritrovamento dei corpi in luoghi pubblici con segni evidenti di violenza estrema e, in molti casi, mutilazioni (quasi esistesse un modus operandi); l’attivismo collettivo e organizzato che ha reso Ciudad Juarez un fenomeno mediatico a livello internazionale.
Un risultato si è ottenuto con la sentenza “Campo Algodonero” emessa dalla Corte Interamericana per i Diritti Umani il 10 dicembre del 2009,che ha sancito la responsabilità dello Stato messicano per i femminicidi avvenuti sul suo territorio. Negli ultimi anni, il Messico ha raggiunto numerosi e importanti progressi a livello legislativo, con l’elaborazione di leggi quali la Ley de Igualdad entre Hombres y Mujeres (2006) e la Ley de Acceso de las mujeres a una Vida Libre de Violencia (2007). Tra le riforme è importante quella riguardante la Costituzione in Materia di Diritti Umani. Inoltre, nel 2012 il Messico ha modificato il Codice Penale Federale includendovi le sanzioni ai delitti per femminicidio. Tuttavia non si sono ancora avuti dei progressi materiali: in molti casi gli strumenti legislativi non vengono applicati correttamente, poiché le istituzioni incaricate vivono all’ombra della corruzione e dell’illegalità. |
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