Abstract:
La critica letteraria è, nella sua complessa articolazione, una disciplina non meno vasta della letteratura stessa. Che sia compendio, strumento o creazione artistica autonoma rispetto all’opera, la critica rimane insolubilmente intrecciata alla letteratura in un legame potente, quasi simbiotico. Gli “scrittori-critici”, di cui il panorama novecentesco italiano è ricco di illustri esempi, hanno il pregio ed il vantaggio di saper mettere la propria sensibilità artistica al servizio dei “libri degli altri”: esemplare, in questo senso, è Italo Calvino, autore poligrafo ed eclettico dall’insaziabile curiosità intellettuale, che ha dedicato la vita alla scrittura intersecando la pubblicazione di opere narrative ad acuti interventi critici. Per potersi addentrare nel fitto panorama della critica letteraria, a chi ne sia affascinato conviene rivolgersi ad un maestro. Per questo, il presente elaborato ha lo scopo di osservarne uno in azione, Italo Calvino in veste di critico letterario, a sua volta, di uno dei suoi maestri e modelli, Cesare Pavese, contestualmente problematizzando le questioni critiche legate alla produzione pavesiana. La drammatica esperienza biografica di Pavese ha favorito sconfinamenti nel biografismo che ne hanno condizionato la ricezione e che Calvino, tra i primi, ha stigmatizzato. La lezione calvinana che riconosce il ruolo centrale del lettore competente è la via da seguire per evitare derive critiche restituendo all’opera il proprio valore atemporale.