Abstract:
Da trent’anni a questa parte, il termine “empatia” è entrato prepotentemente nel nostro vocabolario morale e ha fortemente attirato l’interesse degli studiosi di varie discipline, specialmente quelli di filosofia, psicologia, neuroscienze e neuroetica.
In realtà, sebbene poco valorizzata dalla gnoseologia e dal pensiero morale tradizionali, per lungo tempo condizionati dal primato del lògos, essa aveva iniziato ad acquisire un certo spessore teorico già nei primi del Novecento, grazie all’opera di filosofi come Theodor Lipps, Max Scheler ed Edith Stein.
Il presente lavoro si propone, innanzitutto, di ricostruire e indagare proprio la riflessione di quest’ultima, che è stata la prima fenomenologa a cercare di individuare le caratteristiche essenziali, le modalità e i gradi di attuazione dell’atto empatico. E, in secondo luogo, di fare dialogare la sua opera sia con i suoi coevi – anche quelli di tutt’altro indirizzo filosofico – sia con gli sviluppi più recenti della ricerca.
L’intento della trattazione è, infatti, di rendere conto sia della storia della genesi e dello sviluppo del concetto sia della sua complessa stratificazione, nonché del suo valore per approfondire la nostra conoscenza di ciò che è specificamente umano. L’obiettivo fondamentale è, però, di ripensare il rapporto tra empatia e moralità, di dimostrare non solo affinità e differenze, ma anche di profilare la possibilità di un’alleanza tra i principi morali individuati dalla ragione e la dimensione emotiva e affettiva, dischiusa dall’empatia.