Abstract:
Il seguente lavoro di tesi si propone di indagare, a partire dalla filosofia di Simone Weil, il Male da cui è affetto il Novecento. Come dirà anche Hannah Arendt, si tratta di un male banale, monotono, che prolifera sulla superficie del mondo e che trova spazio laddove non ci sono più radici che ancorino gli uomini alla realtà. L’espressione più pericolosa del male ha pertanto la forma dell’irrealtà, del sogno grandioso di un Io devitalizzato che ha perduto il contatto con il proprio sé corporeo, con gli uomini e con il mondo, e che si nutre, in definitiva, soltanto della propria immaginazione. Esito di questa violenza prevaricatrice, che ha la pretesa di piegare a sé l’irriducibilità dell’alterità, è la sofferenza innocente a cui la maggioranza degli uomini è costretta ogni giorno. Tutti coloro che vivono in una condizione di oppressione subiscono, infatti, una degradante metamorfosi che li muta in uomini-cose, in materia inerte a contatto con la terra dura e fredda; essi, non solo perdono i propri connotati umani, ma anche la dignità di uno statuto ontologico, divenendo ombre inconsistenti sul muro di una caverna, proiezioni egoiche di un Io tirannico che li strappa via dalla vita. Antidoto a questa condizione di irrealtà è allora, per Simone Weil, la facoltà dell’attenzione, l’eroismo perfetto di colui che, rinunciando al proprio sogno, apre finalmente gli occhi sulla realtà esterna e fa ritorno alle radici perdute della sua umanità, alla tenerezza per le cose del mondo.