Abstract:
I primi filosofi che si sono interrogati sul senso autentico dell’essere e hanno cercato di rendere chiaro tale concetto sono gli antichi greci. Emanuele Severino evidenzia il punto chiave della questione, ossia che tutta la storia della filosofia occidentale è la vicenda dell'alterazione e della dimenticanza del senso dell'essere. Egli considera Parmenide il primo responsabile del tramonto dell'essere, pur essendo colui che ha fatto emergere il senso dell’essere nella netta contrapposizione dell’essere al niente. Secondo il filosofo di Elea l’essere non coincide con le differenze che si presentano nell’apparire del mondo, dunque esse stanno al di fuori dell’essere.
Platone e Aristotele cercano di capire come ricondurre le differenze o determinazioni all'essere e di dare risposte chiare alle questioni aperte di Parmenide, provando a conciliare il rapporto tra l'essere e il niente con l'esperienza del divenire.
Secondo Severino, il modo in cui l’uomo si approccia al dolore muta da Platone in poi poiché l’ente viene considerato il niente. L’uomo ha escogitato due rimedi per difendersi dal dolore: quello costituito dalla verità che va a pensare un ente divino e la tecnica, che va a sostituire il primo e antico rimedio. Il pensiero, ma più nello specifico la metafisica, è alla continua ricerca dell''essere necessario', ciò di cui non si può dire "non-è", cercando un modo per dimostrarlo: tuttavia, tale pensiero si mantiene sul fondamento della nientità dell'ente e si scorgerà il naufragio di ogni affermazione dell'eterno: stando a Severino gli dèi eterni sono costretti ad essere e i mortali devono riconoscerli.
Avendo suggerito che la storia dell'Occidente è un esperimento metafisico, Severino sostiene che la massima espressione della metafisica coincide con la civiltà della tecnica. Secondo il filosofo di Brescia il corso della storia occidentale è sempre stato storia del nichilismo: in esso vi è la negazione dell'ἐπιστήμη, cioè il sapere non ipotetico ed incontrovertibile della totalità dell'ente, il luogo in cui la libertà dell'ente viene posta come l’unica "evidenza". L'ἐπιστήμη unisce in sé due tratti contrastanti poiché da un lato essa pensa l'ente come oscillazione tra l'essere e il niente, dall'altro si propone come manifestazione incontrovertibile del senso determinato dell'ente, intendendo aprire il vero senso della totalità dell'ente. Quest'ultimo rende impossibile il divenire. Dopo aver cercato di chiarire come si debba manifestare in maniera coerente il nichilismo, si giunge necessariamente alla distruzione della tradizione dell'Occidente.
Attraverso il saggio L’anello del ritorno di Severino, viene analizzata la dottrina di Nietzsche: quest’ultimo pone l’accento sull'esistenza del divenire come ciò che è immediatamente evidente; la sua affermazione è il fondamento originario della verità autentica. Il divenire implica il mutare di tutte le cose, ossia della totalità dell'ente, dunque l'inesistenza di ogni eterno e di ogni immutabile. Nietzsche va incontro all'essenza della "morte di Dio" e, dopo aver visto il divenire come totalità dell'ente, giunge alla dimostrazione dell'eternità dell'eterno ritorno. Sempre secondo la visione di Nietzsche, si deve sopprimere il "mondo vero" perché mortifica il valore del divenire. Il "mondo vero" mette in dubbio il valore di quel mondo che noi siamo, il quale è la volontà creatrice di cui parla il profeta Zarathustra.