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La mia trattazione vuole inoltrarsi nel pensiero di Henri Bergson, in particolare nel tema dell’intuizione e dell’intelligenza. Il nostro spunto, infatti, è quello di presentare una sintesi fra intelligenza e intuizione, poiché tutte le capacità dell’uomo devono essere tenute in conto; ma risulta importante anche distinguere le due facoltà e il lavoro che esse compiono: l’intelligenza come tale, infatti, conosce, ricostruisce, organizza, gestisce quello che l’altra facoltà, cioè quella intuitiva, fornisce. Quello che cerchiamo di dire è che il concettuale non ridà mai la ricchezza che ci dà l’intuizione, la quale ha in sé qualcosa di ineffabile, di inesauribile.
Bergson ha portato alla luce l’importanza dell’intuizione oltre l’intelligenza, proprio in quel complicato passaggio di secolo, che va dall’Ottocento ai primi del Novecento; passaggio caratterizzato dal crollo delle sicurezze date all’uomo dal progresso. Questo periodo ricorda, per certi aspetti, il nostro tempo, quel tempo che noi oggi viviamo e che pare anch’esso arrivato alla fine; forse una soluzione potrebbe essere trovata proprio nell’attualità del pensiero bergsoniano. Così, dopo aver individuato alcune influenze ricevute dal nostro autore, abbiamo indagato gli influssi che lui stesso ha esercitato nei confronti di suoi contemporanei e successori; in particolare in un suo allievo, Charles Péguy, che potremmo definire come uno dei più grandi poeti del Novecento. Abbiamo scelto un poeta, perché in Péguy, come in Bergson, risalta un considerevole interesse per l’uomo e per la vita, che sono molto più che meri meccanismi. In questo cogliamo come i temi metafisici e antropologici siano intrecciati con la filosofia sociale e politica; e più in generale vogliamo testimoniare che la filosofia non e’una disciplina lontana dalla vita vissuta; ma al contrario, incontra la vita. |
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