Abstract:
La storia dei profughi ebrei transitati in Italia nel secondo dopoguerra è un argomento che è stato trascurato dalla storiografia italiana e internazionale e la memoria di quegli avvenimenti è stata perlopiù affidata ai diari e ai memoriali di coloro che li vissero in prima persona.
Tra il maggio del 1945 e l’estate del 1948 si registrò in Italia una presenza media annua di profughi ebrei compresa tra i 15.000 e i 18.000, per un totale di circa 50.000 DPs che attraversarono il paese.
A partire da questo dato numerico eccezionale, in questo lavoro verranno analizzate le conseguenze politiche, sociali e culturali causate da questo esodo di profughi che trovarono un rifugio temporaneo su tutto il territorio nazionale.
Si tratta di una ricerca basata in parte su fonti primarie d’archivio, reperite nell’archivio dell’American Jewish Joint Distribution Committee di Gerusalemme, Central Zionist Archives, Yad Vashem Archives e all’Archivio del Museo del campo di detenzione di Atlit, e in parte su fonti orali, interviste, diari e materiale fotografico inedito.
Nella prima parte della ricerca verrà esaminata la reazione internazionale dinanzi alla questione dei profughi, con la creazione di una rete di organizzazioni di soccorso che cooperarono nell’assistenza ai DPs. Verrà ricostruito il percorso che portò alla costituzione nel 1944 della United Nation Relief and Rehabilitation Administration (UNRRA), la prima agenzia delle Nazioni Unite preposta alla tutela e al rimpatrio dei DPs e la sua missione in Italia tra il 1944 e il 1947. Verrà analizzato il ruolo delle numerose organizzazioni volontarie ebraiche, quali l’American Jewish Joint Distribution Committee (AJDC) e l’Organization for Rehabilitation through Training (ORT), che affiancarono l’UNRRA in queste operazioni di soccorso. Dopo anni di discriminazioni, per la prima volta si cercò di garantire ai profughi non solo un sostegno economico e un alloggio, ma anche un processo di riabilitazione morale, intellettuale e professionale.
Nell’analizzare il caso dei profughi ebrei scampati alla Shoah, si terrà conto del loro rifiuto a tornare nei paesi che sino allo scoppio della guerra essi stessi avevano considerato “homeland” e del loro desiderio di rifarsi una nuova vita in Eretz Israel, dove di lì a poco sarebbe nato lo Stato di Israele. Dunque, è in questo clima che alle operazioni di soccorso dei profughi si intrecciò la ripresa delle operazioni del Mossad le-aliyah bet, l’organizzazione ebraica che, sfidando la politica del Libro Bianco, cercò di far sbarcare il maggior numero di profughi sulle coste della Palestina, all’epoca ancora sotto il mandato britannico. Sempre in questo contesto, si inserisce la mobilitazione dell’Agenzia Ebraica, che inviò nei campi profughi di tutta Europa i suoi delegati allo scopo di canalizzare l’immigrazione ebraica in Palestina e diffondere l’ideologia sionista tra i profughi. La ricerca si occuperà, quindi, della rinascita ebraica che ebbe luogo all’interno dei campi profughi, tramite l’insegnamento della lingua ebraica, la propaganda sionista e la costruzione di una nuova identità ebraica.
La ricerca prosegue poi con l’analisi della vita dei profughi nei campi. Particolare attenzione verrà riservata ai quattro campi di transito del Salento, situati a Santa Maria al Bagno, Santa Maria di Leuca, Tricase Porto e Santa Cesarea Terme, e considerati tra i più ampi e attivi di tutta Italia.
In questa sezione verrà descritta l’attività delle organizzazioni di soccorso nei campi e le condizioni di vita dei profughi. Verrà lasciato ampio spazio alla voce dei profughi, alle loro aspirazioni e le loro preoccupazioni così come traspaiono nelle interviste, nelle fotografie e nei loro diari.
Questo lavoro si propone di dare risonanza a una vicenda che coinvolse tutta la popolazione italiana e che merita di essere inserita nella storia della rinascita del dopoguerra.