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L’essere umano ha bisogno di finzione, il che lo porta a circondarsi di storie che pure riconosce essere false e illusorie. Poiché, molto probabilmente, questo bisogno non denota semplicemente un’insofferenza verso la realtà, ci devono essere degli effettivi benefici nel cosiddetto make-believe (far finta, o anche “come se”). Considerazioni di questo genere non sono di per sé innovative; tuttavia, in autori come Kendall Walton e Wolfgang Iser, hanno dato avvio a riflessioni vive, originali e talvolta controverse.
In questo lavoro ci si propone di esaminare le teorie dei due pensatori, prima singolarmente e infine nell’ottica di un possibile dialogo.
Walton ha introdotto il far finta nel dibattito sulla fiction nella forma di giochi che il fruitore intraprende con le opere d’arte rappresentazionali (tra le altre cose); questi giochi, per di più, non sono essenzialmente diversi dai giochi di far finta dei bambini, quali prendere il tè con le bambole o guardie e ladri. Il make-believe è infatti una tendenza umana fondamentale, una pratica immaginativa che non viene mai dimenticata o superata perché in grado di portare valore nelle nostre vite. Walton, è vero, l’ha reso centrale nella sua teoria perché intendere le opere d’arte come supporti in giochi di far finta può spiegare molto di quello che accade nella fruizione, come anche di quello che le opere stesse significano per noi; la pratica del make-believe, tuttavia, finisce per gettare altrettanta luce sull’uomo in quanto essere animato dall’immaginazione, attore per se stesso.
Per Iser, poi, la finzione, e in particolare la fiction letteraria, rispecchia similmente un bisogno umano, quello di conoscere quei fenomeni inaccessibili che sono parte dell’esperienza di ciascuno, quali la morte, l’amore e in primo luogo l’uomo stesso. Dal momento che questo essere poliedrico non è in grado di essere presente a se stesso, nel tentativo di scoprirsi egli finisce per inventarsi. Nei processi del fictionalizing, infatti, non soltanto vengono esposti e saggiati aspetti familiari del mondo che ci circonda, ma soprattutto prendono forma le possibilità che nutrono il cambiamento. La realtà, grazie alla spinta dell’immaginario, viene trasfigurata nella fiction e resa fertile terreno per nuovi significati; la finzione, appunto, è per Iser prima di tutto un modo per parlare del reale.
Dopo aver esplorato dunque le due teorie, si può concludere che esse abbiano più punti di contatto che di divergenza, nonostante emergano da tradizioni decisamente diverse. In particolare, da entrambe consegue una riappacificazione della finzione con le categorie di realtà e verità, e un suo riavvicinamento alla vita umana basato sul riconoscimento del fatto che l’uomo è una creatura immaginativa, che imbeve di significato se stesso e il suo mondo. |
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