Abstract:
Il recente ritiro delle truppe americane dall’Afghanistan dopo una permanenza lunga vent’anni ha riportato all’attenzione dei media e dell’opinione pubblica il tema dell’interventismo statunitense: con almeno ottocento basi militari dislocate in tutto il mondo, quello degli Stati Uniti è definito da diversi studiosi un vero e proprio impero. Se l’operato statunitense nei confronti dei principali paesi che al giorno d’oggi rivestono un ruolo di centrale importanza nello scacchiere internazionale è oggetto di studio da parte di numerosi ricercatori, lo stesso non si può dire dell’area definita Africa occidentale.
Il presente elaborato ha lo scopo di indagare le dinamiche della politica statunitense nei confronti dell’Africa occidentale. Sarà necessario, prima di tutto, delimitare i confini di quest’area, che manca di una definizione universalmente accettata: se all’UNOWA, l’ufficio delle Nazioni Unite per l’Africa occidentale, facevano capo sedici nazioni, secondo l’Enciclopedia Britannica ne fanno parte diciannove paesi, mentre il numero scende a quindici secondo un report del CeSPI del 2014. Ai fini della presente ricerca, sarà adottato il criterio di interpretazione dell'amministrazione Carter, secondo cui fanno parte dell'Africa occidentale diciassette paesi, che spaziano dal deserto del Sahara al Golfo di Guinea.
Il primo capitolo si concentrerà sulle interazioni tra Stati Uniti ed Africa occidentale prima dell'amministrazione Carter: dopo una breve panoramica storica, il capitolo verterà sull'analisi del modo in cui gli Stati Uniti, dopo l’ondata di decolonizzazioni del 1960, si sono interfacciati a questi nuovi stati indipendenti, sugli interessi alla base di queste interazioni, e sulle difficoltà che fin da subito si sono manifestate in ragione delle politiche segregazioniste e razziali ancora in vigore in molti stati americani.
Il secondo capitolo presenterà una sintesi dello stato dell'arte relativo all'amministrazione di Jimmy Carter, le intenzioni prefissate, le sfide affrontate, i successi riportati e le sconfitte subite. Un'attenzione particolare sarà dedicata alla sua politica nei confronti del continente africano, terreno di conflitto ideologico con il blocco comunista.
In conclusione, la politica statunitense nei confronti dell'Africa occidentale verrà trattata nell'ultimo capitolo attraverso lo studio di una serie di fonti primarie, in particolar modo i documenti dell'intelligence americana relativi al periodo della presidenza Carter. È noto che Zbigniew Brzezinski, il controverso consigliere per la sicurezza nazionale durante la presidenza di Jimmy Carter, ha avuto un ruolo attivo nella rivolta dei ribelli afghani, i mujaheddin, incitandoli a combattere contro il governo filocomunista di Kabul e le truppe sovietiche a suo sostegno, facendo leva proprio sulla loro fede e sulla giustezza della loro causa. Tuttavia, questo non sembra essere un caso isolato: analizzando alcuni report redatti in seguito ad una conversazione tenuta dallo stesso Brzezinski con l’allora presidente algerino Chadli Bendjedid, emerge chiaramente una volontà del consigliere statunitense di strumentalizzare l’islam in chiave antisovietica, evidenziando il pessimo trattamento riservato ai musulmani residenti in Unione Sovietica.
La domanda che muove la presente ricerca è quindi se, ed eventualmente in che misura, si possa individuare un’analogia anche nel caso specifico dell’Africa occidentale: dai documenti declassificati in analisi sembra trapelare un particolare interesse da parte dell’amministrazione per la tendenza generalizzata alla riscoperta dell’islam nell’Africa sub-sahariana, ed in particolare in Africa occidentale. L’analisi verterà sul modo in cui la CIA monitora questo risveglio religioso islamico nei principali paesi dell’Africa occidentale, a partire dalla Nigeria fino ad arrivare al più piccolo Benin, e sulle possibili cause di questo interesse.